Illegittimo l'oscuramento dei Canali RAI su SKY (Tar Lazio 11-7.2012)


Illegittimo l'oscuramento dei Canali RAI su SKY (Tar Lazio 11-7.2012)

Pubblicata il 12/07/2012 in Diritto Amministrativo

FATTO

Con il ricorso principale Sky Italia s.r.l. (SKY) ha impugnato la delibera n. 732/09/CONS, adottata dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in data 16.12.2009, recante diffida alla società RAI, ai sensi dell'art. 48 comma 7 del d.lgs. 31 luglio 2005 n. 177, per il rispetto degli obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo, e , ove ritenuto occorrente, la delibera n. 614/09/CONS del 26.11.2009, recante l'approvazione delle linee guida sul contenuto degli ulteriori obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo, ai sensi dell'art. 17 comma 4 della legge 3 maggio 2004 n. 112 e dell'art. 45 comma 4 del T.U. della Radiotelevisione.

In sintesi SKY, con il gravame principale, ha lamentato il mancato accertamento da parte dell'Autorità, anche a seguito della segnalazione dell'Associazione Altroconsumo in data 10.7.2009, delle gravi violazioni degli obblighi di servizio pubblico connesse alla decisione della RAI di impedire la visione integrale senza criptaggi dei propri programmi agli utenti muniti di decoder satellitare SKY e di riservarne la visione agli utenti della piattaforma satellitare televisiva Tivusat, gestita dalla società Tivù s.r.l., costituita prevalentemente da RAI e RTI Reti Televisive Italiane, appartenente al gruppo Mediaset.

Sempre con il ricorso principale SKY ha altresì impugnato le linee guida 2009 ove interpretate conformemente alle determinazioni dell'Autorità.

Con primo atto di motivi aggiunti , notificato in data 16.7.2010, la ricorrente ha poi impugnato la delibera n. 519/09/CONS del 14.9.2009, con la quale l'Agcom ha autorizzato la costituzione di Tivù, ai sensi dell'art. 43 del d. lgs. n. 177/2005, ritenendo che la costituzione della società fosse finalizzata alla realizzazione di un mero strumento di coordinazione tecnica con oggetto limitato, senza comportare alcun coordinamento editoriale fra i soci.

SKY assume l'illegittimità dell'atto impugnato non avendo l'Autorità verificato in maniera analitica e motivata se l'operazione abbia dato luogo ad una fattispecie di intesa o concentrazione, nè accertato il controllo societario, per di più incorrendo in errori di fatto nella descrizione delle regole di governance dell'impresa comune, nè infine definito i mercati interessati e la posizione dominante detenuta dai soci di Tivù, tra cui in particolare proprio RAI e RTI.

Con secondo atto di motivi aggiunti, notificato in data 11.10.2011, SKY ha infine impugnato l'art. 22 del contratto di servizio stipulato tra il Ministero dello Sviluppo economico e la RAI, e il relativo decreto ministeriale di approvazione, che disciplina la fase di passaggio dalle trasmissioni in tecnica analogica a quella digitale, prevedendo l'obbligo di RAI di assicurare la diffusione dell'intera programmazione delle reti generaliste attraverso almeno una piattaforma distributiva di ogni modalità tecnologica e, per quanto riguarda la piattaforma satellitare, l'obbligo di RAI di promuovere la diffusione di Tivusat con particolare riguardo alle zone del territorio nazionale ancora non raggiunte dal digitale terrestre, fornendo agli abbonati la relativa smart card a fronte del solo rimborso dei costi.

Si sono costituite in giudizio tutte le parti intimate, deducendo l'inammissibilità e/o l'infondatezza di tutti i motivi di gravame.

E' intervenuta altresì in giudizio RTI per insistere per il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del giorno 1 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione e decisa nelle camere di consiglio dei giorni 1 dicembre 2011 e 14 giugno 2012.

DIRITTO

1. Viene eccepita, in primo luogo, l'inammissibilità del ricorso principale per la carenza di legittimazione attiva e di interesse al ricorso di SKY.

La deliberazione dell'Autorità, oggetto dell'impugnazione, riguardando la mancata attuazione, da parte di RAI, di obblighi scaturenti dal contratto di servizio per il triennio 2007/2009, con relativa intimazione in materia di criptaggio dei programmi, avrebbe come parte interessata soltanto RAI, concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e in quanto tale tenuta all'osservanza di determinati obblighi, mentre l'odierna ricorrente non risulterebbe titolare di alcun interesse qualificato rispetto ad un procedimento amministrativo al quale è rimasta estranea.

La ricorrente ribadisce la propria legittimazione ed il proprio interesse al ricorso assumendo di essere stata lesa nei sui diritti ed interessi dalla decisione di RAI di impedire la visione in chiaro dei canali del servizio pubblico radiotelevisivo sulla sua piattaforma satellitare senza che l'Autorità con la delibera impugnata abbia provveduto all'adozione di alcun rimedio efficace, limitandosi ad imporre a RAI di offrire le smart card Tivusat separatamente dai decoder.

Sul punto il Collegio ritiene che la legittimazione e l’interesse di SKY alla proposta impugnativa sussistano alla stregua delle considerazioni che seguono.

La delibera oggetto di impugnazione (n. 732/09/CONS), infatti, ha riguardato, tra l'altro, l'interpretazione e l'attuazione dell'art. 26 del contratto di servizio, ai sensi del quale “la RAI si impegna a realizzare la cessione gratuita, e senza costi aggiuntivi per l’utente, della propria programmazione di servizio pubblico sulle diverse piattaforme distributive, compatibilmente con i diritti dei terzi e fatti salvi gli specifici accordi commerciali”.

In particolare, fra le diverse interpretazioni possibili, acquisite peraltro espressamente al procedimento a mezzo della sua istruttoria, con la citata delibera l’Autorità sposa la tesi sostenuta dalla Rai nel procedimento, per la quale il citato art. 26 non prevederebbe un obbligo di cessione gratuita della programmazione a tutte le piattaforme che ne facessero richiesta, dovendosi l’obbligo di gratuità intendersi riferito esclusivamente all’utenza finale, anche alla luce delle indicazioni desumibili dalle linee guida per la stipulazione del contratto di servizio per il triennio successivo e per ragioni di coerente interpretazione delle disposizioni contrattuali che si succedono nel tempo.

Ne consegue che non può essere ragionevolmente esclusa la legittimazione attiva di SKY all’impugnazione , quale soggetto titolare di una piattaforma satellitare per la diffusione di programmi televisivi , che in virtù di accordi commerciali pregressi ha per lungo tempo provveduto alla trasmissione dei programmi del servizio pubblico in chiaro, e che, secondo una diversa possibile interpretazione del richiamato art. 26 potrebbe essere ritenuta titolare di una pretesa alla possibile cessione della programmazione.

Con l’impugnazione spiegata, infatti, SKY contesta proprio l’interpretazione dell’art. 26 del contratto di servizio, prospettata da RAI in seno al procedimento, e avallata dall’Autorità, lamentando peraltro la propria mancata partecipazione al procedimento come soggetto portatore di una posizione qualificata alla stregua della predetta disposizione convenzionale.

L’interesse al ricorso , poi, va ravvisato, sicuramente, per lo meno ai fini di una possibile rinnovazione del procedimento che, in esito all’acquisizione delle prospettazioni di tutti gli interessati ( e quindi anche dell’odierna ricorrente), o alla luce di un possibile effetto conformativo del giudicato, possa in ipotesi condurre ad un esito diverso, con l’affermazione dell’obbligo di RAI di cessione gratuita della programmazione a favore di SKY in applicazione dell’art. 26 richiamato.

Va infatti ribadito che, se per un verso è vero, come ricordato dalle parti resistenti, che il procedimento de quo è finalizzato esclusivamente all’accertamento dell’adempimento degli obblighi gravanti su RAI quale concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, come regolati nel relativo contratto di servizio, e che RAI è quindi il soggetto direttamente ed immediatamente destinatario degli effetti del provvedimento finale, per altro verso non può negarsi che la pretesa azionata da SKY riguardi proprio la violazione di detti obblighi, asseritamente gravanti su RAI anche nei confronti di SKY, quale titolare di una piattaforma satellitare, ex art. 26 cit., e la contestazione della legittimità e correttezza degli assunti intepretativi alla stregua dei quali con il provvedimento impugnato è stata ritenuta sussistente la violazione degli obblighi soltanto sotto diverso profilo, e non anche sotto il profilo della denunciata violazione della posizione soggettiva di SKY ( e relativa al previsto obbligo di cessione gratuita).

Infondata è anche l’eccezione di difetto di legittimazione ed interesse all’impugnazione della delibera n. 614/09/CONS, recante l’approvazione delle linee guida per la stipulazione del contratto di servizio per il successivo triennio, in quanto detta delibera è stata impugnata da SKY soltanto in ragione del richiamo ad essa operato nella parte motiva del provvedimento gravato in via principale come argomento a sostegno dell’interpretazione dell’art. 26 del contratto di servizio in vigore , nel senso della inconfigurabilità di un obbligo di cessione gratuita come invece sostenuto con il ricorso dalla ricorrente.

2. Viene eccepito poi il difetto di legittimazione di SKY all’impugnazione, effettuata con primo atto di motivi aggiunti, della delibera n. 519/09CONS con la quale l’Autorità, nell’esercizio dei poteri di controllo delle operazioni di concentrazioni e intese ex art. 43 Tusmar, ha autorizzato la costituzione di Tivu srl.

La tesi non può essere assolutamente condivisa dal Collegio, considerato che si tratta di delibera adottata nell’esercizio di un potere di controllo con finalità di salvaguardia della concorrenzialità e che ha riguardato l’inserimento nel mercato, in cui opera anche l’odierna ricorrente, di un soggetto nuovo, sia pure, come ritenuto dall’Autorità, nella mera forma del coordinamento tecnico fra due soggetti già esistenti ed operanti sul mercato.

La piattaforma televisiva gestita da Tivù è infatti destinata alla programmazione e diffusione della programmazione , oltre che di RAI, anche di Mediaset, quindi di soggetti concorrenti della ricorrente nel mercato radiotelevisivo.

La legittimazione di SKY si fonda proprio sulla lamentata violazione dei principi della concorrenza riferibile alla creazione di Tivù , non rilevata e contestata dall’Autorità nell’esercizio dei poteri di controllo e verifica sopra richiamati; e sussiste, evidentemente, a prescindere dalla fondatezza nel merito della pretesa azionata, cui a ben vedere si riferiscono le ulteriori deduzioni delle parti resistenti in tema di legittimazione, in quanto il controllo affidato all’Agcom ex art. 43 del Tusmar mira a garantire il pluralismo anche e soprattutto attraverso la salvaguardia delle condizioni di piena concorrenzialità fra gli operatori del mercato televisivo.

3. Viene infine eccepita la carenza di legittimazione di SKY all’impugnazione, effettuata con il secondo atto per motivi aggiunti, del contratto di servizio per il triennio 2010/2012, in ragione della impossibilità di qualificazione giuridica di detto contratto come contratto a favore del terzo, con effetti estesi a soggetti diversi dai contraenti.

Non essendo SKY parte del contratto, né soggetto destinatario di effetti favorevoli del contratto, non sarebbe legittimata a proporre domanda di annullamento della convenzione.

In verità la legittimazione di Sky può essere ritenuta sussistente non in quanto il contratto produca effetti che riguardino direttamente anche la sua sfera giuridica, ma in ragione del fatto che la clausola impugnata ( art. 22 che pone in capo a RAI l’obbligo di promuovere la diffusione di Tivusat), secondo la prospettazione della ricorrente, determina una discriminazione in danno degli altri operatori del mercato ed è quindi nulla e/o illegittima perché contraria a norme nazionali e comunitarie primarie, poste a tutela della concorrenza, e al divieto di aiuti di stato.

In detta ottica, a parere del Collegio, il contratto, secondo lo schema civilistico del contratto in danno, sarebbe suscettibile di impugnativa anche da parte del terzo danneggiato.

4. Sempre sul piano delle eccezioni preliminari, le parti resistenti, con argomenti in sostanza coincidenti, lamentano la tardività dell’impugnazione principale proposta avverso la deliberà n. 614/09/CONS in quanto proposta oltre la scadenza del termine decadenziale decorrente dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 26..11.2009.

In proposito rileva il Collegio che la delibera citata è stata impugnata soltanto in quanto richiamata nella delibera contestata in via principale da SKY ( la n. 732/09) e ove da interpretarsi nel senso in essa fatto proprio dall’Autorità: ne consegue che l’interesse all’impugnazione, peraltro ben esplicitato in ricorso nei termini sopra menzionati, è collegato all’impugnazione della delibera n. 732/09/Cons , e non poteva invece ritenersi già sussistente all’epoca della sua pubblicazione.

Del resto la delibera n. 614/09 reca le linee guida relative al contratto di servizio per il triennio successivo 2009/2012 e non riguarda quindi neanche indirettamente l’interesse azionato dalla ricorrente con il ricorso principale, leso soltanto al momento dell’adozione della delibera n. 732 e soltanto in ragione dell’interpretazione in essa contenuta dell’art. 26 del contratto di servizio relativo al triennio precedente (e, dall’Autorità, motivata in base anche ad indicazioni desumibili per le linee guida relative al triennio successivo).

Lamentano poi la tardività del primo atto per motivi aggiunti con il quale è stata impugnata la delibera n. 519/09/CONS del 14 settembre 2009 relativa alla costituzione, da parte di RAI, RTI e Telecom Italia Media, della società Tivù, asseritamente nota nei suoi elementi essenziali e nella sua portata lesiva fin dal comunicato stampa in pari data con cui l’Autorità aveva dato notizia della sua adozione o, comunque, dalla data della pubblicazione della delibera n. 732 impugnata con il ricorso principale, la quale, nella sua parte motiva , reca puntuale riferimento alla delibera n. 519 ed al suo contenuto.

Rileva, al contrario, la ricorrente di avere avuto piena conoscenza del provvedimento soltanto a seguito del suo deposito in giudizio da parte di RAI in data 18.5.2010.

In verità, nella delibera n. 732/09, l’Autorità fa esplicito riferimento alla delibera relativa alla costituzione della società Tivù, individuata esplicitamente nel suo contenuto dispositivo e nei sui elementi essenziali.

E’ sufficiente, in proposito, riportare testualmente il relativo passaggio motivazionale dove si legge quanto segue:

a decorrere dal 31 luglio 2009 è divenuta operativa la piattaforma satellitare Tivùsat, posta in essere dalle società Rai, RTI e Telecom Italia Media nell’ambito dell’intesa comunicata all’Autorità in data 24 settembre 2008 ai sensi dell’art. 43, comma 1, del decreto legislativo n. 177/2005 e del regolamento di cui alla delibera n. 646/06/CONS. In merito a tale intesa l’Autorità, con delibera n. 519/09/CONS del 14 settembre 2009, ha ravvisato la mancanza dei presupposti per l’avvio dell’istruttoria ai sensi del citato regolamento di cui alla delibera n. 646/06/CONS, considerata anche la natura dell’operazione che – allo stato degli atti acquisiti nel corso dell’istruttoria preliminare – non comporta un coordinamento editoriale tra le parti ma rappresenta uno strumento di cooperazione tecnica con oggetto limitato a condizione che siano rispettate le seguenti condizioni: a) che le smartcard di Tivù non siano utilizzate per la fruizione di servizi di televisione a pagamento; che la società Tivù offra ad eventuali terzi interessati gli stessi servizi prestati in favore delle parti, a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, avvertendo, altresì, che qualsiasi modifica successiva degli elementi contenuti nella notifica dovrà essere comunicata all’Autorità e comporterà il riesame della decisione nei termini previsti dal proprio regolamento 

Diversamente da quanto quindi sostenuto da parte ricorrente, dalla delibera n. 732 emergono in maniera chiara e dettagliata non soltanto il dispositivo della determinazione adottata, ma anche le ragioni per le quali l’Autorità ha ritenuto di non dovere aprire l’istruttoria.

Per tali ragioni l’impugnazione della delibera n. 519 avrebbe dovuto essere spiegata entro gli stessi termini per la proposizione del ricorso avverso la delibera n. 732 e, quindi, essere impugnata in via principale unitamente a quest’ultima; mentre il successivo atto di motivi aggiunti appare quindi tardivo alla stregua del prevalente orientamento giurisprudenziale per il quale, ai fini del decorso del termine per l’impugnazione, la piena conoscenza del provvedimento non postula necessariamente che esso sia conosciuto in tutti i suoi elementi costitutivi, essendo sufficiente la conoscenza dei suoi elementi essenziali e del suo effetto lesivo.

Nel caso di specie, come detto, la conoscenza del contenuto essenziale della delibera n. 519/09 era sicuramente riferibile alla conoscenza della delibera n. 732/09, come lo era certamente il suo effetto dispositivo e la possibile lesività rispetto agli interessi della ricorrente, mentre la mancata conoscenza dell’integralità della motivazione non impedisce la decorrenza dei termini di decadenza per l’impugnazione.

Il primo atto per motivi aggiunti va quindi ritenuto irricevibile per tardività.

5. Con riguardo, poi, all’impugnazione proposta con il secondo atto per motivi aggiunti, avverso il contratto di servizio 2010/2012, le parti resistenti, con pluralità di argomenti, deducono il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito.

Si assume, in particolare, che il contratto di servizio costituisce un atto negoziale di natura privatistica, sebbene soltanto formalmente approvato con un provvedimento amministrativo, in esito ad un procedimento di formazione nel quale non sarebbero individuabili profili di rilevanza pubblicistica, con conseguente radicazione della giurisdizione sulle relative controversie in capo all’autorità giudiziaria ordinaria.

La questione prospettata rimanda, evidentemente, al tema della natura giuridica del contratto di servizio stipulato dalla RAI con il Ministero , ai sensi dell’art. 45 comma 1 del Tusmar, per la regolamentazione del servizio pubblico generale radiotelevisivo, affidato in concessione a RAI, con la previsione anche di una serie di obblighi connessi alla natura pubblica del servizio prestato.

L’art. 45 citato, in effetti, si limita a stabilire che i contratti di servizio hanno durata triennale e individuano i diritti e gli obblighi della società concessionaria: la stipulazione del contratto è preceduta da deliberazione adottata d’intesa dall’Autorità e dal Ministro delle Comunicazioni, con la quale sono fissate le linee guida sul contenuto degli obblighi relativi al servizio pubblico radiotelevisivo, definite in relazione allo sviluppo dei mercati, al progresso tecnologico, ed alle esigenze culturali, nazionali e locali.

Nel quadro normativo precedente all’adozione del Tusmar (legge 23 dicembre 1996 n. 650), il contratto di servizio, in assenza di uno specifico fondamento normativo, si affiancava alla convenzione di concessione, pur caratterizzato da una maggiore flessibilità rispetto a quest’ultima, e presentava una forte atipicità contenutistica: al punto che le posizioni dottrinali e giurisprudenziali in ordine alla sua qualificazione giuridica erano diversificate, ma tendevano prevalentemente a rimarcarne le difficoltà di assimilazione allo schema del contratto ad oggetto pubblico (particolarmente del contratto accessivo od integrativo), schema nel quale invece rientrava pacificamente la convenzione di concessione.

Il nuovo art. 45 del Tusmar, pur non recando l’esplicita abrogazione delle disposizioni relative alla convenzione di concessione, e non risolvendo definitivamente, per questo motivo, i problemi legati alle possibili interrelazioni anche di contenuto fra convenzione e contratto di servizio (ma in dottrina è stata anche sostenuta la tesi dell’implicita abrogazione della convenzione di concessione, essendo il contratto di servizio strumento di per sé bastevole a regolare l’erogazione di un servizio pubblico e vincolato, sotto il profilo contenutistico, non più alla convenzione di concessione quanto direttamente alla fonte normativa primaria) fornisce oggi indicazioni a favore di una conclusione opposta sulla questione dell’inquadramento giuridico del contratto di servizio.

I compiti e gli obblighi del servizio pubblico radiotelevisivo, infatti, sono adesso individuati in maniera analitica e dettagliata già dalla fonte normativa primaria (art. 45 comma 2) la quale, in definitiva, conforma precettivamente il contenuto del contratto, riducendone notevolmente l’ambito della negoziabilità fra le parti ( Ministero e concessionaria).

Inoltre, come sopra già rammentato, la stipulazione del contratto è preceduta da una deliberazione dell’Autorità, adottata con il Ministro delle Comunicazioni ( oggi dello Sviluppo Economico), con la quale sono fissate le linee guida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico radiotelevisivo ( rispetto a quelli già normativamente predeterminati), e che riduce ulteriormente i margini di negoziabilità del contenuto del contratto di servizio.

Inoltre, ai sensi dell’art. 1 comma 6 lett. B) n. 10 della legge n. 249/1997 sul contenuto del contratto è chiamata ad esprimere un parere obbligatorio la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi; e il contratto deve, infine, essere approvato per mezzo di un atto regolamentare secondo quanto previsto dall’art. 3 comma 1 del d.p.r. 28 marzo 1994.

Inoltre, i compiti di vigilanza e controllo sull’adempimento degli obblighi contrattuali sono per legge rimessi all’Agcom, cioè ad un soggetto terzo, che non è parte del rapporto contrattuale, e l’inadempimento è regolato secondo principi che sfuggono all’impianto generale del codice civile sull’adempimento delle obbligazioni contrattuali ed è affidato all’adozione di atti di natura provvedi mentale.

Il contratto di servizio, quindi, non sembra più operare in funzione meramente integrativa della convenzione di concessione, alla quale piuttosto sembra definitivamente sostituirsi, assumendo propri connotati funzionali come strumento negoziale che si caratterizza, primariamente, in termini di funzionalizzazione al perseguimento di finalità di interesse pubblico e, proprio per questo, conformato sia in senso soggettivo che in senso oggettivo da puntuali prescrizioni normative: un contratto caratterizzato da un particolare regime vincolato delle prestazioni e dall’esistenza di un sistema pubblico di vigilanza, controllo e sanzione per l’inadempimento del privato.

Emerge cioè una evidente connotazione pubblicistica del contratto di servizio radiotelevisivo che ne consente, a parere del Collegio, una piena ascrivibilità alla categoria dei contratti di diritto pubblico o ad oggetto pubblico, in maniera più definita rispetto a quanto non possa invece farsi con riferimento a contratti inerenti altre tipologie di servizio pubblico ( per esempio il trasporto pubblico) nei quali è ravvisabile una diversa e maggiore connotazione di tipo privatistico.

Ne consegue che anche l’azione di nullità o di annullamento di siffatto contratto rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, come giurisdizione sussistente per tutte le fattispecie in cui venga in rilievo un’attività pubblicisticamente connotata, perché funzionalizzata al perseguimento di pubblici interessi ( cfr. Corte Cost, sentenza n. 35/2010), sebbene dispiegata attraverso il ricorso a strumenti di tipo consensuale.

6. RAI eccepisce infine l’inammissibilità del ricorso principale in ragione di una presunta ipotesi di litispendenza , pendendo davanti al Tribunale Civile di Roma contenzioso civile avviato da Sky per la mancata consegna del canale Rai4, nel quale verrebbero in discussioni le medesime questioni involte dal presente giudizio.

La tesi non può essere condivisa dal Collegio, considerato che la litispendenza si realizza solo ove la stessa causa sia proposta davanti a giudici diversi appartenenti alla stessa giurisdizione; presupposti che, con tutta evidenza difettano in relazione ad un giudizio civile iniziato davanti all’autorità giudiziaria ordinaria e con un petitum differente.

7. Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale possono essere esaminati unitariamente involgendo entrambi, sia pure sotto profili differenti, la questione dell’interpretazione dell’art. 26 del contratto di servizio per il triennio 2007/2009.

La disposizione in parola, intitolata “neutralità tecnologica”, stabilisce che “la Rai si impegna a realizzare la cessione gratuita, e senza costi aggiuntivi per l’utente, della propria programmazione di servizio pubblico sulle diverse piattaforme distributive, compatibilmente con i diritti dei terzi e fatti salvi gli specifici accordi commerciali”.

Secondo l’Autorità resistente, anche in base al tenore letterale della previsione, l’obbligo di cessione gratuita della programmazione di servizio pubblico televisivo riguarderebbe soltanto gli utenti finali del servizio e non i soggetti titolari delle piattaforme distributive; diversamente argomentando, verrebbe annullato il valore economico della programmazione che deve, invece, potere essere sfruttato dalla concessionaria pubblica secondo autonome scelte imprenditoriali e senza vincoli che si tradurrebbero in un ingiustificato vantaggio e arricchimento a favore degli altri operatori del mercato televisivo e concorrenti di RAI.

Al di fuori, quindi, degli obblighi previsti nei confronti degli utenti del servizio pubblico televisivo, tenuti al pagamento del canone, l’attività imprenditoriale della concessionaria pubblica resterebbe ispirata a criteri generali di imprenditorialità e concorrenzialità: l’art. 26, proprio nel richiamare la salvezza dei diritti dei terzi e gli specifici accordi commerciali, confermerebbe la richiamata impostazione, salvaguardando il diritto della concessionaria di libero sfruttamento del valore economico della propria programmazione secondo criteri di efficienza ed economicità.

Non sussisterebbe quindi alcun obbligo di cessione a titolo gratuito della programmazione di servizio pubblico a tutte le piattaforme distributive, potendo RAI scegliere liberamente le piattaforme a cui affidare la diffusione della programmazione, secondo criteri di economicità.

La tesi non convince perché smentita dal dato letterale e dalla caratterizzazione funzionale della disposizione in esame. Peraltro, come si vedrà, la scelta di RAI di affidamento in maniera esclusiva alla piattaforma distributiva satellitare Tivù sembra contraddire gli stessi parametri di economicità e redditività che, nella richiamata prospettiva, dovrebbero guidare le libere scelte imprenditoriali, di sfruttamento delle potenzialità economiche della programmazione di servizio pubblico.

L’art. 26 è, innanzitutto, rubricato neutralità tecnologica, con evidente riferimento alla finalità di garanzia della fruibilità del servizio pubblico televisivo in maniera piena ed effettiva da parte della generalità dell’utenza pubblica, attraverso l’utilizzo di tutti gli strumenti tecnologici – e quindi le piattaforme distributive – idonei a garantire la completa copertura del territorio e l’accesso alla programmazione in maniera indiscriminata attraverso tutte le possibili forme di riproduzione della trasmissione.

Si tratta quindi di disposizione sicuramente orientata a garantire l’interesse della generalità degli utenti ad un accesso alla programmazione del servizio pubblico in maniera piena, libera, agevole, e quindi ad una visibilità della programmazione in termini di effettività, praticabilità ed universalità.

Non è quindi, a parere del Collegio, disposizione volta a ribadire il mero diritto degli utenti alla fruizione della programmazione del servizio pubblico a titolo gratuito, invece da ritenersi immanente al sistema, quanto piuttosto norma che disciplina specificamente la distribuzione della programmazione del servizio pubblico sulle diverse piattaforme, con l’obiettivo di garantirne l’accessibilità e la diffusione più completa possibile alla stregua degli strumenti tecnologici disponibili.

Nella richiamata prospettiva funzionale, il contratto di servizio introduce in maniera netta l’obbligo della concessionaria pubblica di rendere possibile la diffusione della programmazione su tutte le piattaforme distributive (obbligo di must offer), a prescindere dal soggetto titolare, e mediante cessione a titolo gratuito: con l’unica condizione esplicita che i soggetti titolari delle piattaforme rendano disponibile la programmazione RAI sempre a titolo gratuito, e senza quindi costi aggiuntivi per gli utenti, e fatti salvi i limiti eventualmente derivanti da specifici accordi commerciali che prevedano diritti di esclusiva su determinate programmazioni che giustifichino una diffusione affidata solo a specifiche piattaforme invece che alla generalità delle piattaforme operanti nel mercato italiano.

Il dato letterale della disposizione conferma la descritta caratterizzazione teleologica senza alcun margine di opinabilità: la gratuità è infatti riferita espressamente all’obbligo di cessione della programmazione alle piattaforme distributive, con la sola condizione che la visibilità della programmazione su tutte le piattaforme sia garantita agli utenti senza l’addebito di costi di alcun tipo.

La gratuità della cessione della programmazione ai titolari delle piattaforme distributive diventa, nella prospettiva funzionale dell’art. 26, strumento per garantire, sempre nell’interesse generale dell’utenza, ad un tempo la massima accessibilità della programmazione e la sua fruibilità a titolo gratuito; laddove, evidentemente, una cessione a titolo oneroso della programmazione pubblica da parte di RAI ai vari titolari delle piattaforme distributive rischierebbe di risolversi nell’introduzione di oneri aggiuntivi a carico dell’utente finale ( per lo meno nella misura dei costi affrontati dal titolare della piattaforma per l’acquisto a titolo oneroso della programmazione RAI).

La tesi dell’Autorità, sostenuta anche dalle altre parti resistenti, del diritto di RAI di scegliere liberamente le piattaforme distributive della propria programmazione, secondo scelte imprenditoriali e di sfruttamento economico della produzione televisiva di servizio pubblico, contrasta invece palesemente con le indicate esigenze di tutela dell’utenza e salvaguardia dell’interesse generale.

In primo luogo perché una scelta ispirata esclusivamente a logiche di mera imprenditorialità ed economicità non garantisce pienamente, in maniera prioritaria e incondizionata, l’interesse della generalità del pubblico radiotelevisivo ad un accesso pieno ed effettivo alla programmazione, potendo risultare nel concreto prevalenti obiettivi differenti; in secondo luogo perché la commercializzazione della programmazione nei confronti dei titolari della piattaforme distributive introduce il rischio che gli acquirenti trasferiscano sugli utenti finali l’onere economico dell’acquisto dei diritti di diffusione dei programmi del servizio pubblico.

D’altra parte, la stessa scelta di RAI di cessione a titolo gratuito dell’intera programmazione, per la diffusione satellitare esclusiva, in favore di Tivù, titolare della piattaforma Tivusat, sembra porsi al di fuori di una logica di sfruttamento del potenziale economico della programmazione del servizio pubblico, e si comprende soltanto in una prospettiva di garanzia dell’interesse generale alla fruizione del prodotto televisivo pubblico a titolo gratuito.

La norma quindi, diversamente da quanto ritenuto dall’Autorità, impone sì alla concessionaria pubblica di garantire la piena fruibilità a titolo gratuito della programmazione del servizio pubblico da parte di tutti i cittadini; ma individua anche, in via strumentale per il perseguimento di detto obiettivo, l’obbligo di cessione a titolo gratuito a tutti i titolari di piattaforme distributive disponibili ad una diffusione senza oneri aggiuntivi a carico dell’utenza.

Si è trattato di una scelta, in sede convenzionale, evidentemente riferita ad un momento storico ( il contratto in parola riguardava il triennio 2007/2009) in cui , anche in ragione del delicato passaggio dalla diffusione terrestre in via analogica a quella digitale, è stato ritenuta opportuna l’adozione di modalità operative massimamente idonee a garantire il conseguimento dell’obiettivo funzionale della migliore , più ampia ed agevole accessibilità dei cittadini al servizio pubblico radiotelevisivo.

Scelta, ovviamente, non obbligata, e magari opinabile sotto altri profili, considerata la complessità del mercato televisivo italiano e la delicatezza del suo equilibrio concorrenziale; e tuttavia sicuramente non smentibile ex post, alla luce dell’introduzione nel mercato di nuovi elementi di fatto (quale la costituzione di una nuova piattaforma satellitare in capo ad un nuovo soggetto societario come Tivu, partecipato anche da RAI).

Scelta, peraltro, coerente con la previsione di cui al successivo art. 31 il quale, sempre nella prospettiva della garanzia dell’effettiva universalità del servizio, obbliga la concessionaria a garantire, agli utenti in regola con il pagamento del canone, e che siano impossibilitati a ricevere il segnale terrestre Rai, la piena accessibilità all’intera programmazione anche via satellite; e con la previsione dell’art. 30 il quale consente il criptaggio dei programmi Rai per la diffusione satellitare limitatamente ai programmi per i quali RAI sia priva dei diritti di diffusione all’estero.

Una volta chiarita la portata significativa del precetto di cui all’art. 26 del contratto di servizio, appare evidente, allora, che il vizio principale di legittimità della delibera dell’Autorità, come peraltro denunciato dalla ricorrente con il secondo motivo di ricorso principale, sia proprio quello di avere escluso esplicitamente la sussistenza di una violazione degli obblighi nascenti dal contratto di servizio nella determinazione di RAI di non rendere più disponibile la programmazione per la diffusione anche attraverso la piattaforma satellitare SKY, come invece avvenuto fino alla costituzione del nuovo soggetto Tivu.

Sky, infatti, come titolare di una piattaforma di distribuzione della programmazione in via satellitare, e disponibile alla diffusione a titolo gratuito e senza costi aggiuntivi per l’utenza, era soggetto nei cui confronti, come nei confronti di qualsiasi altro operatore titolare di piattaforma, a parità di condizioni, RAI doveva essere ritenuta obbligata alla cessione a titolo gratuito della programmazione in applicazione della clausola di cui all’art. 26 citato; obbligo- lo si ribadisce – introdotto dal contratto di servizio non certo a salvaguardia dell’interesse, sicuramente sussistente di SKY, come di qualunque altro titolare di piattaforma di diffusione di programmi televisivi, alla diffusione anche della programmazione del servizio pubblico, ma nell’ottica della garanzia dell’effettiva universalità della diffusione della programmazione del servizio televisivo pubblico.

Né la cessione a titolo gratuito a SKY della programmazione RAI sarebbe stata impedita dalla previsione di un canone a carico degli abbonati SKY, considerato che nessun onere aggiuntivo era previsto, nei contratti di abbonamento Sky, in ragione della fruibilità attraverso il decoder Sky anche della programmazione Rai; programmazione peraltro fruibile in precedenza attraverso i decoder Sky anche a prescindere dal pagamento del canone di abbonamento Sky, in chiaro ed a titolo gratuito.

Sotto ulteriore profilo, poi, la cessione in favore anche di SKY non sarebbe in alcun modo stata preclusiva della contestuale cessione in favore di soggetti titolari di altre piattaforme distributive, neanche in ragione del tipo di criptaggio previsto dal sistema di codifica NDS, proprio della piattaforma distributiva di SKY, che sul piano tecnico non preclude la possibilità di contestuale diffusione della programmazione attraverso altre piattaforme operanti con sistemi di codifica diversi ( come quello Nagravision proprio di Tivusat).

Inoltre, se per un verso il fatto che il sistema NDS sia un sistema chiuso, giustifica ulteriormente la scelta di Rai di consentire la diffusione satellitare della programmazione anche attraverso ulteriori piattaforme distributive, come quella Tivusat, che operano attraverso sistemi di codifica “ aperti”, e in quanto tale potenzialmente idonei a garantire una più ampia ed agevole diffusione, per altro verso non si comprende però perché la diffusione attraverso Tivusat non sia stata ritenuta compatibile con la contestuale conservazione della diffusione anche attraverso la piattaforma SKY.

Al contrario, la scelta RAI di non rendere più disponibile la propria programmazione attraverso la piattaforma satellitare Sky ha costretto tutti i cittadini abbonati Sky, o comunque in possesso di un decoder Sky, per la ricezione in via satellitare della programmazione del servizio pubblico, all’acquisto di un nuovo diverso decoder quale quello Tivusat ( o di una CAM idonea a rendere i nuovi decoder Sky in grado di ricevere il segnale di codifica Nagravision); con le conseguenti ricadute negative sul piano dell’attuazione del principio di effettiva universalità della diffusione della programmazione del servizio pubblico, particolarmente rilevanti specie in un periodo temporale caratterizzato da una fase di avvio difficoltoso dell’offerta Tivusat.

Quanto fin qui esposto in ordine all’erronea interpretazione dell’art. 26 contenuta nella delibera impugnata non è smentito dalle linee guida di cui alla delibera 614/09 , e relative al contratto per il triennio successivo: anzi, il punto 39 ribadisce la necessità che la programmazione delle reti generaliste sia visibile su tutte le piattaforme tecnologiche nella fase di passaggio dalle trasmissioni in tecnica analogica a quella digitale, ribadendo quindi la priorità dell’esigenza di garanzia di effettività dell’universalità dell’accesso alla programmazione del servizio pubblico in un periodo particolarmente delicato e complesso come quello indicato, e il punto 48 ribadisce anche per il contratto futuro la possibilità della Rai di consentire la messa a disposizione della propria programmazione di servizio pubblico a tutte le piattaforme commerciali che ne facciano richiesta secondo condizioni di equità e non discriminazione.

Da quanto fin qui esposto con riferimento al secondo motivo di ricorso emerge, poi, la fondatezza anche del primo motivo di censura, con il quale SKY lamenta la violazione del proprio diritto di partecipazione al procedimento in quanto soggetto interessato.

Non possono infatti essere condivisi dal Collegio gli assunti dei resistenti, per i quali l’art. 7 della legge n. 241/90 non troverebbe applicazione allo speciale procedimento avviato dall’Agcom ai sensi dell’art. 48 del Tusmar, che attribuirebbe il diritto di partecipazione soltanto alla concessionaria pubblica, destinataria dirett