Responsabilità del proprietario della strada - condizioni


Responsabilità del proprietario della strada - condizioni

Pubblicata il 27/01/2013 in Diritto Civile
Fatto 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.M.P. convenne innanzi al Tribunale di Roma, il Comune della stessa città, chiedendo di essere risarcita dei danni subiti a seguito di in sinistro verificatosi il giorno 6 marzo 1996.

Espose che quel giorno era caduta rovinosamente a terra a causa di una buca presente sul marciapiedi.

L'Ente territoriale, costituitosi in giudizio, contestò le avverse pretese. Chiese ed ottenne di chiamare in causa CO.GE.VE. s.r.l. e A.B. Conglomerati Bituminosi s.a.s., imprese incaricate della manutenzione.

Con sentenza del 27 giugno 2002 il giudice adito rigettò la domanda.

Proposto dalla soccombente gravame, la Corte d'appello lo ha respinto in data 3 aprile 2006.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte C.M.P., formulando tre motivi e notificando l'atto al Comune di Roma, a CO.GE.VE. s.r.l. e ad A.B. Conglomerati Bituminosi s.a.s..

Resistono con due distinti controricorsi il Comune e Conglomerati Bituminosi.

Nessuna attività difensiva ha invece svolto la società CO.GE.VE..

Conglomerati Bituminosi ha altresì depositato memoria.

Diritto 
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l'impugnante lamenta violazione degli artt. 345 e 331 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Le critiche si appuntano contro l'affermata inammissibilità dell'appello proposto nei confronti di CO.GE.VE. s.r.l. e di A.B. Conglomerati Bituminosi s.a.s., ai sensi dell'art. 345 c.p.c., per novità della domanda. Secondo l'esponente la chiamata in causa delle imprese nel giudizio di primo grado le avrebbe rese automaticamente parti necessarie del giudizio di appello.

2 Le censure sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate.

Nel motivare la scelta decisoria adottata il giudice di merito non ha ragionato in termini di scindibilità o inscindibilità delle cause, ma di possibilità o meno di considerare tout court estesa al chiamato la domanda proposta nei confronti del chiamante. E, avendo dato alla questione soluzione negativa, ha ritenuto inammissibile la domanda di condanna di CO.GE.VE. s.r.l. e A.B. Conglomerati Bituminosi s.a.s., proposta per la prima volta in sede di gravame.

Ne deriva che i rilievi svolti in ricorso sono eccentrici rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato e, non attingendola affatto, comportano la definitività della relativa statuizione, di fatto non impugnata.

3 Peraltro, anche a prescindere da tali profili, le doglianze sono in ogni caso infondate.

Questa Corte ha a più riprese ribadito che il principio dell'estensione automatica della domanda al chiamato in causa dal convenuto trova applicazione allorquando l'estensione del contraddittorio al terzo sia effettuata dal convenuto al fine di ottenere la sua liberazione, in ragione del fatto che il terzo venga individuato come unico obbligato e cioè come effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall'attore. In tale prospettiva è stata quindi negata l'operatività del richiamato principio allorquando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore come causa petendi della pretesa azionata, il che avviene allorquando, come nella fattispecie, il terzo venga chiamato in garanzia, propria o impropria (confr. Cass. civ. 7 giugno 2011, n. 12317Cass. civ. 7 ottobre 2011, n. 20610Cass. civ. 28 gennaio 2005, n. 1748).

4 Con il secondo mezzo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè vizi motivazionali, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Le critiche si appuntano contro l'affermazione del giudice di merito secondo cui l'attrice non avrebbe fornito la prova della imprevedibilità e della invisibilità della buca, essendo rimasto incerto, alla luce dei contrastati esiti della prova testimoniale, lo stesso punto di caduta.

L'impugnante formula il seguente quesito di diritto: dica la Suprema Corte se sia erronea la motivazione che abbia omesso di motivare o comunque abbia motivato in modo insufficiente su una circostanza determinate ai fini della decisione, che, se esaminata, avrebbe consentito una decisione diversa da quella adottata.

5 Il motivo è inammissibile per assoluta inidoneità del quesito.

L'art. 366 bis c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata depositata il 3 aprile 2006), impone, in presenza dei motivi previsti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, che ciascuna censura, all'esito della sua illustrazione, si traduca in un quesito, la cui formulazione deve essere funzionale, come attestato dall'art. 384 c.p.c., all'enunciazione di un principio di diritto ovvero di un dictum giurisprudenziale; mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si concretizzi nella esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende la motivazione inidonea a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).

6 Orbene, nel caso in esame, il quesito formulato in relazione ai denunciati errores in indicando è assolutamente carente, in quanto si risolve nella mera richiesta alla Corte di accogliere il ricorso, ovvero nell'interpello in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata. Una formulazione del quesito di diritto congrua, in relazione alla sua funzione, richiede, invece che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito dal motivo, la parte, dopo avere riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice abbia deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andava viceversa risolto, formulando il quesito in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (confr. Cass. civ. 17 luglio 2008 n. 19769Cass. civ. 26 marzo 2007, n. 7258), sicchè la Corte, leggendolo, possa comprendere immediatamente l'errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

7 A ciò aggiungasi che lo stesso motivo, nella parte in cui denuncia vizi motivazionali, è inammissibile per mancanza del momento di sintesi, omologo del quesito di diritto, trattandosi di elemento espositivo che, come da questa Corte ripetutamente precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione delle critiche alla decisione impugnata. Il momento di sintesi, invero, impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, volto a circoscrivere i limiti delle allegate incongruenze argomentative, in maniera da non ingenerare incertezze sull'oggetto della doglianza e sulla valutazione demandata alla Corte (confr. Cass. civ. 1^ ottobre 2007, n. 20603).

8 In ogni caso la Corte d'appello ha chiarito in termini che non possono tacciarsi di illogicità e di implausibilità le ragioni per le quali ha ritenuto indimostrata la qualificabilità in termini di ostacolo occulto e imprevedibile del preteso dislivello del manto stradale.

Ne deriva che le censure, attraverso la surrettizia evocazione di violazioni di legge e di vizi motivazionali, in realtà inesistenti, sono volte a contestare una valutazione di stretto merito, congruamente motivata, come tale insindacabile in sede di legittimità.

9 Con il terzo motivo si denunciano violazione dell'art. 2051 c.c., nonchè, ancora una volta, vizi motivazionali, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Oggetto delle doglianze è l'affermazione della Corte territoriale secondo cui la responsabilità del Comune, ex art. 2051 c.c., doveva essere esclusa in quanto la rete stradale, per estensione e modalità d'uso, era oggetto di una utilizzazione generale e diretta da parte dei cittadini, con conseguente impossibilità, per l'ente proprietario, di esercitare un effettivo potere di vigilanza e custodia sul bene.

Sostiene l'esponente che, così argomentando, la Corte territoriale avrebbe fatto malgoverno della giurisprudenza del Supremo Collegio la quale costantemente afferma che la proprietà delle strade in capo al comune genera, in caso di infortunio, la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c..

La motivazione della sentenza impugnata sarebbe segnatamente carente nella parte in cui ha escluso la possibilità di vigilanza, da parte del Comune, senza alcun accertamento, in concreto, delle specifiche caratteristiche della strada teatro della vicenda.

10 Le critiche sono fondate per le ragioni che seguono.

I principi giuridici che, secondo la giurisprudenza di legittimità, governano la materia, possono così riassumersi: la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall'art. 2051 c.c., prescinde dall'accertamento del carattere colposo dell'attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento; tale responsabilità prescinde, altresì, dall'accertamento della pericolosità della cosa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l'insorgenza di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato anche dal fatto del danneggiato, avente un'efficacia causale idonea a interrompere il nesso causale tra cosa ed evento dannoso (Cass. civ. 7 aprile 2010, n. 8229Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279Cass. civ. 5 dicembre 2008, n. 28811).

La radicale oggettivazione dell'ipotesi normativa, insita nella prospettiva adottata - che rende più congruo parlare di rischio da custodia (piuttosto che di colpa nella custodia) e di presunzione di responsabilità (piuttosto che di colpa presunta) - comporta che la responsabilità in questione non esige, per essere affermata, un'attività o una condotta colposa del custode, di talchè, in definitiva, il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente, se la cosa ha provocato danni a terzi (Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279).

11 Assodato, dunque, che la responsabilità ex art. 2051 c.c., è esclusa solamente dal caso fortuito - che, si ripete, è qualificazione incidente sul nesso causale e non sull'elemento psicologico dell'illecito (confr. Cass. civ. 7 luglio 2010, n. 16029;

Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279) - in relazione a talune fattispecie può essere necessario stabilire se l'evento derivi in tutto o in parte dal comportamento dello stesso danneggiato. Ne consegue che corollario della regola sancita dall'art. 2051 c.c., è quella dettata dall'art. 1227 c.c., comma 1.

Peraltro il giudizio sull'autonoma idoneità causale del fattore esterno ed estraneo a produrre l'evento deve in ogni caso essere adeguato alla natura ed alla pericolosità della cosa, sicchè tanto meno essa è intrinsecamente pericolosa, tanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, a partire dall'uso improprio della cosa, fino all'eventuale interruzione del nesso eziologico tra la stessa e il danno e alla esclusione di ogni responsabilità del custode (cofr.

Cass. civ. 24 febbraio 2011, n. 4476Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279).

12 Con specifico riguardo al regime di responsabilità alla quale vanno incontro, ex art. 2051 c.c., gli enti proprietari o concessionari di strade o comunque di beni demaniali aperti all'uso di un numero indifferenziato di utenti, questa Corte ha avuto modo di precisare che:

a) per le strade aperte al traffico, l'ente proprietario (o il concessionario) si trova in una situazione che lo pone in grado di sorvegliarle, di modificarne le condizioni di fruibilità, di escludere che altri vi apportino cambiamenti, situazione che, a ben vedere, integra proprio lo status di custode;

b) una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia della strada stessa, è comunque configurabile la responsabilità dell'ente pubblico custode, salvo che quest'ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno;

c) l'ente proprietario (o concessionario) non può far nulla quando la situazione che provoca il danno si determina non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza e nella manutenzione della strada ma in maniera improvvisa, atteso che solo siffatta evenienza (ai pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine al verificarsi del fatto) integra il caso fortuito;

d) agli enti proprietari di strade aperte al pubblico transito è dunque applicabile la disciplina di cui all'art. 2051 c.c., con riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere;

e) ai fini del giudizio sulla qualificazione della prevedibilità o meno della repentina alterazione dello stato della cosa, occorre avere riguardo al tipo di pericolosità che ha provocato l'evento di danno, pericolosità che può atteggiarsi diversamente, ove si tratti di una strada, in relazione ai caratteri specifici di ciascun tratto e alle circostanze che ne connotano l'uso da parte degli utenti (confr. Cass. civ. 11 novembre 2011, n. 23562Cass. civ. 3 aprile 2009, n. 8157; nei medesimi sensi Cass. civ. 29 marzo 2007, n. 7763;

Cass. civ. 2 febbraio 2007, n. 2308; vedi anche Cass. civ. 25 luglio 2008, n. 20427).

13 Deriva da quanto sin qui detto, che non appare condivisibile l'approccio del giudice di merito il quale ha apoditticamente ritenuto precluso, in relazione alla rete stradale comunale, in quanto oggetto di una utilizzazione generale e diretta, da parte dei cittadini, il concreto esercizio dei poteri di vigilanza e custodia da parte dell'ente proprietario.

Contrariamente a quanto affermato dal decidente, infatti, la disponibilità che l'ente proprietario ha di una strada, in vario modo regolamentandone le condizioni di fruizione e incidendo sulle stesse, integra lo status di custode, il che, determinando, in via di principio, la soggezione dell'ente al regime di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., comporta che, chi ne invoca l'applicazione, ha l'onere soltanto di dimostrare l'evento dannoso nonchè il nesso di causalità tra la cosa e la sua verificazione.

In tale prospettiva la possibilità di riscontrare nel comportamento della danneggiata un tasso di imprudenza e di disattenzione tale da imporne la qualificazione in termini di caso fortuito, idoneo ad escludere il nesso di causalità tra cosa in custodia ed evento andrà scrutinata alla luce dell'assetto dato da questa Corte agli oneri probatori gravanti sulle parti nelle azioni di responsabilità del custode ex art. 2051 cod. civ. nonchè tenendo conto del contesto spaziale in cui ha avuto luogo l'incidente.

Il terzo motivo di ricorso va pertanto accolto.

La sentenza impugnata deve, conseguentemente essere cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione che, nel decidere, si atterrà ai criteri innanzi enunciati.

PQM 
P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso. Accoglie il terzo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2013