Titoli di studio conseguiti all’estero


Titoli di studio conseguiti all’estero

Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto Scolastico

Il Consiglio di Stato conferma il principio secondo cui “In materia di riconoscimento dei diplomi, il principio fondamentale della libera circolazione delle persone e prestazioni dei servizi - il quale si estrinseca nel diritto dei cittadini degli Stati membri di esercitare una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui essi hanno acquisito la loro qualifica professionale - non ha natura incondizionata, trovando un limite, nel sistema delineato dalla Direttiva 89/48, nel potere dello Stato ospitante di verificare se le qualifiche altrove acquisite corrispondono a quelle prescritte in sede nazionale per l'esercizio di una professione specificatamente disciplinata.”


FATTO
Con il provvedimento impugnato in primo grado, il Direttore generale del Dipartimento per gli Affari di Giustizia (Ufficio III - Libere Professioni) ha respinto la domanda presentata dalla ricorrente diretta ad ottenere il riconoscimento del titolo "Diplomirana psihologinja" (psicologo laureato) conseguito in Slovenia , ai fini dell'accesso ed esercizio in Italia della professione di "psicologo", in quanto l'interessata non risulta essere in possesso dei requisiti richiesti dall'ordinamento sloveno per l'esercizio della professione di psicologo:
a.- per un verso, "l'Associazione Slovena degli Psicologi è un'associazione professionale facoltativa e non governativa, e non è pertanto un organo istituzionale adibito alla tutela ed alla vigilanza della professione" (nota Ambasciata d'Italia in Lubiana del 12.10.2004);
b.- per altro verso, "la professione di psicologo in Slovenia è regolamentata mediante la previsione, tra l'altro, del necessario superamento di un apposito esame di stato e l'attribuzione della vigilanza all'amministrazione statale" (nota del Ministero del Lavoro sloveno in data 2 febbraio 2005).
Il Tribunale Amministrativo regionale in epigrafe indicato, con la gravata sentenza, ha respinto il ricorso proposto dall'interessata, compensando le spese di lite e rilevando che:
A. - non sussiste la violazione dell'art. 10 bis della legge n. 241/90 perché dal provvedimento impugnato traspare in maniera inequivocabile l'intenzione dell'Amministrazione di respingere l'istanza;
B. - neanche sussistono le ragioni di doglianza di cui alla seconda e terza censura anche perché la ricorrente avrebbe dovuto procedere alla puntuale confutazione delle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato e non attardarsi su eventi ormai superati (precedente sentenza TAR Lazio del 2 luglio 2003 n. 8314, iniziale dichiarazione del Consolato italiano, testimonianza del Decano dell'Università di Lubiana).
Con il gravame in esame, l'appellante ha chiesto che il ricorso di primo grado sia accolto, deducendo:
i. - la ricorrente ha ricevuto una mera nota informativa, del tutto priva della indicazione (non presunzione) delle ragioni ostative all'accoglimento della domanda;
ii.- l'Amministrazione si è limitata ad applicare la normativa attualmente vigente in modo automatico (Memorandum ratificato nell'aprile 1997) mentre la ricorrente ha iniziato il suo iter universitario nel 1992, ma su tale legittimo affidamento il TAR non si è pronunciato minimamente;
iii. - in ragione dell'effetto devolutivo dell'appello, vengono riproposti i vizi inficianti il provvedimento impugnato in primo grado.
Il Ministero appellato si è costituito in giudizio eccependo l'infondatezza del gravame, in particolare sottolineando la differenza tra titolo accademico e titolo professionale.
All'udienza del 19.12.2008 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
1. - La questione di principio posta dall'odierno gravame riguarda le condizioni normativamente previste per il riconoscimento del titolo di "psicologa laureata" (Diplomirona psicologinia) conseguito dall'appellante in Slovenia: in particolare, ai fini dell'accesso ed esercizio in Italia della professione di "psicologo".
Con il provvedimento impugnato in primo grado la relativa domanda è stata respinta perché l'interessata non risultava essere in possesso dei requisiti richiesti dall'ordinamento sloveno per l'esercizio della professione di psicologo: l'Associazione Slovena degli Psicologi è una libera associazione professionale (non governativa) e l'esercizio della professione di psicologo in Slovenia richiede il necessario previo superamento di apposito esame di Stato (in uno specifico settore quale il sanitario, lo scolastico, e quant'altro).
È pacifico in causa che la ricorrente originaria, iscritta all'albo degli psicologi in Slovenia, non ha superato un esame di stato - per l'esercizio di tale professione - né in Slovenia e neppure in Italia: la pretesa azionata è in buona sostanza volta all'automatico riconoscimento in virtù di un asserito affidamento riposto nella regolamentazione anteriore al Memorandum Italia/Slovenia ratificato ad aprile del 1997 (l'istante si è iscritta al corso di studi universitari nel 1992 e si è laureata nel 1997).
Tali questioni non sono nuove per questa Sezione, che si è già pronunciata sui punti dibattuti tra le parti, con consolidata e persuasiva giurisprudenza dalla quale non vi è ragione per discostarsi ed a cui si rinvia, ai sensi dell'art. 9 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Cons. St., IV: 16 novembre 2007, n. 5838; 27 giugno 2006, n. 4141; 13 aprile 2005, n. 1705).
2. - Viene così in rilievo la direttiva 89/48/CEE, che all'art. 4 richiama espressamente, in ordine ai titoli professionali riconosciuti equivalenti, "formazione specifica prescritta nello Stato membro ospitante" ed "esperienza professionale sostanziale": questi temi costituiscono questioni distinte che pongono problematiche diverse.
Inoltre, l'art. 3 della citata direttiva prescrive che lo Stato ospitante deve garantire "l'accesso a/o l'esercizio di tale professione, alle stesse condizioni che vengono applicate ai propri cittadini" e l'art. 1 del D.Lgs (di attuazione della direttiva) 27.01.1992, n. 115, prevede il riconoscimento in Italia dei titoli conseguiti in ambito comunitario "alle condizioni stabilite dalle disposizioni del presente decreto".
Il che già sarebbe sufficiente ad escludere che l'invocato riconoscimento, pur previsto, fra i diversi titoli rilasciati dai Paesi della Comunità Europea operi attraverso una equiparazione di carattere automatico, che prescinda da una previa verifica che ne accerti, in via generale o caso per caso, l'equipollenza (Cons.St., VI, 27.01.2003, n. 406).
Con l'avvertenza - che non può trascurarsi di considerare nella ricostruzione del sistema - che le previste misure compensative possono riguardare, ai fini della dichiarazione di equipollenza, titoli equivalenti che, tuttavia, presentino lacune formative solo da colmare, non anche divergenze della regolamentazione tra distinte professioni.
Nello specifico sia la Slovenia che l'Italia (la quale diversamente però sottopone l'attività di psicologo a vigilanza pubblica affidata all'apposito ordine professionale con il suo specifico Albo) prevedono il superamento di un previo esame di Stato per l'esercizio della professione di psicologo (propedeutico in Italia ai fini dell'iscrizione nell'Albo degli psicologi).
Da quanto sopra rilevato discende, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, che, in materia di riconoscimento dei diplomi, il principio fondamentale della libera circolazione delle persone e prestazioni dei servizi - il quale si estrinseca nel diritto dei cittadini degli Stati membri di esercitare una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui essi hanno acquisito la loro qualifica professionale - non ha natura incondizionata: tale diritto infatti trova un limite, nel sistema delineato dalla Direttiva 89/48, nel potere dello Stato ospitante di verificare se le qualifiche altrove acquisite corrispondono a quelle prescritte in sede nazionale per l'esercizio di una professione specificatamente disciplinata.
Nella specie, come già precisato, è incontrovertibile che l'appellante non ha superato il preveduto esame di Stato in Slovenia e, quindi, è carente della specifica "esperienza professionale sostanziale", tale che possa essere autorizzata una diretta iscrizione all'Albo italiano degli psicologi.
Per tali profili va dunque respinta la pretesa odiernamente propugnata.
3. - Così precisato il contesto della causa, va ora rilevato che il formale riconoscimento deve ritenersi pur sempre essenziale per l'operatività del titolo conseguito in altro Stato, salva naturalmente la possibilità di verifica giurisdizionale del corretto esercizio del relativo potere usato nel merito da parte dell'Autorità competente (Cons.St., VI, 22.02.2006, n. 779).
Il giudice di primo grado, nel respingere il ricorso introduttivo, ha rilevato che la ricorrente non ha confutato le argomentazioni poste dal Ministero a base del provvedimento impugnato per negare il riconoscimento richiesto, essendosi Ella invece attardata su vicende oramai superate, come la precedente sentenza TAR Lazio del 2 luglio 2003 n. 8314, la iniziale dichiarazione del Consolato italiano, l'opinione rassegnata dal Decano dell'Università di Lubiana.
Queste questioni sono state dall'appellante nuovamente introdotte in questa sede nell'assunto di una inapplicabilità nei di lei confronti ("ratione temporis") del "Memorandum d'Intesa" fra i due Stati, concluso a Roma il 10 luglio 1995 e ratificato con legge 7 aprile 1997 n. 103 che, in particolare, subordina (punto 2) il riconoscimento del titolo di studio sloveno alla condizione che "l'interessato abbia effettivamente soggiornato nel Paese in cui ha sede l'Università": ciò, avendo essa istante riposto legittimo affidamento nel pregresso sistema, di cui all'Accordo del 18 febbraio 1983 (ratificato con legge 13 dicembre 1984 n. 971), che non richiedeva (espressamente) il requisito della residenza in loco.
Come si vede, questa questione è del tutto ultronea ed inconferente rispetto al tema odierno, che è incentrato soltanto sul titolo professionale necessario per l'esercizio della professione di psicologo : la consistenza del titolo accademico di psicologo conseguito in Slovenia non è venuto infatti ad emersione nell'odierno giudizio e correttamente, pertanto, i primi giudici hanno potuto concludere per l'insussistenza delle illegittimità denunciate.
Pertanto, devono essere anche in questa sede disattese le medesime doglianze qui riproposte in quanto, come posto in luce della sentenza gravata:
a.- con la nota del 9 marzo 2005 il Ministero appellato ha comunicato all'istante (in seguito ai chiarimenti successivi alla anteriore sentenza TAR Lazio, 2 luglio 2003 n. 8314) le ragioni ostative all'accoglimento della pretesa azionata e la sottoposizione della relativa domanda alla Conferenza di servizi del 22 marzo 2005.
Dunque, è stato osservato nella sostanza, prima che nella forma, l'art. 10 bis della legge n. 241/90;
b. - la semplice lettura dell'atto impugnato porta a escludere i dedotti profili di eccesso di potere, poiché la censurata motivazione indica con chiarezza i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno portato giustamente al diniego, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.
L'appellante non è in possesso del requisito richiesto dell'ordinamento sloveno per esercitare la professione di psicologo (superamento dello specifico esame di Stato), a nulla rilevando l'iscrizione alla libera Associazione slovena degli psicologi al fine di radicare nell'ordinamento italiano la condizione comunitaria di due anni di "esperienza professionale sostanziale";
c. - e perciò da escludere che la motivazione della sentenza impugnata possa essere ritenuta inadeguata, insufficiente, perplessa, erronea, incongrua.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, infatti, la sentenza enuncia con chiarezza e consequenzialità i fatti nonché i motivi di non fondatezza della domanda.
Dunque, anche sotto gli aspetti considerati le doglianze mosse si rivelano inconsistenti.
4. - Di conseguenza, l'appello in esame non può che essere respinto siccome infondato.
Le spese di lite relative all'odierno grado possono essere integralmente compensate in ragione della natura della controversia e della particolarità della fattispecie.