Art. 18 I licenziamenti disciplinari nel progetto di riforma


Art. 18 I licenziamenti disciplinari nel progetto di riforma

Pubblicata il 11/04/2012 in Diritto del Lavoro

Nell'attuale normativa in tutti i casi in cui il giudice ritiene illegittimo il licenziamento DEVE:

1) ordinare il reintegro

2) condannare il datore di lavoro al pagamento dello stipendio e dei contributi dal giorno del licenziamento al reintegro (una causa puo' durare anche 10 anni prima della sentenza definitiva). Per evitare questa condanna il datore di lavoro dovrebbe provare che il dipendente nel frattempo abbia lavorato e percepito lo stesso stipendio.

Se la condotta imputata al lavoratore non e' prevista dal contratto collettivo come suscettibile di licenziamento ma di sanzione conservativa (es. censura, sospensione) il licenziamento e' ovviamente illegittimo.
Di contro, se la condotta imputata al lavoratore e' prevista dal contratto collettivo come suscettibile di licenziamento (ad esempio, insoburdinazione, assenteismo, danneggiamento, furto, risse con colleghi ecc.)   non sempre questa condotta determina la legittimita' del licenziamento.Entra in gioco l'ampissima discrezionalita' rimessa al giudice nel considerare " non grave" la condotta. Per cui un giudice particolarmente sensibile alle ragioni del lavoratore potrebbe considerare "non grave" il fatto di un dipendente che in maniera reiterata distrugge il mobilio ed i beni dell'azienda, o perche' in un raptus picchia o insulta il datore di lavoro o il superiore gerarchico, o perche' si "scorda" di timbrare il cartellino o chiede il favore di farselo timbrare da altri.Questo comporta un notevole rischio a carico dell'azienda di pagare somme spropositate, oltre a riprendersi il dipendente, anche nei casi piu' eclatanti.E' l'effetto deterrente del licenziamento, il motivo per cui le cause ex art. 18  sono poche e, secondo un'opinione assai diffusa, il motivo per cui c'e' poca propensione delle imprese ad investire ed ad assumere con contratti a tempo indeterminato.Lo stesso accade per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Con la proposta di riforma il quadro normativo cambia radicalmente ed il reintegro (che prima era la naturale conseguenza del licenziamento ritenuto illegittimo) ora assume carattere assolutamente residuale.
Rimane invariato solo l licenziamnto discriminatorio, che pero' si verifica nella rarissima ipotesi in cui l datore di lavoro sia cosi' folle dal licenziare una persona in maternita' o intimando  il licenziamento per acclarati  motivi razziali o religiosi. 
Nel licenziamento disciplinare  il reintegro e' confinato alla sola ipetesi in cui il dipendente "non abbia commesso il fatto addebitato" oppure all'ipotesi in cui il fatto addebitato rientri tra le condotte punite, in base al contratto collettivo, con una sanzione conservativa.Trattasi quindi di ipotesi rara,  quasi un caso di scuola, nel quale il datore di lavoro e' cosi' dissennato dall'imputare al dipendente un fatto da lui non commesso oppure un fatto talmente lieve da essere sanzionato  nel contratto collettivo con  una sanzione conservativa. Per tutte altre ipotesi c'e' solo l'indennizzo economico.

Senza alcuna possibile "discrezionalita" del giudice nel "gradare" la "gravita'" del fatto: sara' sufficiente che quel fatto imputato susista (ad esempio, un ritardo di  5 minuti, un'offesa lieve al caporeparto) per escludere la possibilita' del reintegro: se il giudice con la sua discrezionalita' dovesse ritenere il fatto non grave da giustificare il licenziamento potra' solo indennizzare il lavoratore, mai reintegrarlo.

E' notorio che piu' ampia e' la discrezionalita' e piu' facile e' che sconfini nell'arbitrio, e la "ratio" del legislatore, nel progetto di riforma, e' limitare al massimo, anzi, elimiare la discrezionalita' del iudice in punto di reintegro.Inoltre anche l'ipotesi residuale prevista per il reintegro prevede una sanzione economica oltre al reintgro limitata a 12 mensilita' massime, introducendo anche la velenosa possibilita' di indagine del giudice dela possibile detrazione delle somme "che il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione."

Quindi  mentre ora il "tempo" gioca a favore del lavoratore che, in ipotesi di reintegro, ha diritto a percepire tutte le retribuzioni maturate nel periodo di estromissione, nella nuova norma giochera' a svantaggio del lavoratore introducendo un ulteriore "disincentivo" a cercare il reintegro. 

Questo il testo del progetto di riforma sul punto:

Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, perché il fatto contestato non sussiste o il lavoratore non lo ha commesso ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non potrà essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative.