Pubblicata il 19/07/2016 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 10/02/2016 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 01/02/2016 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 23/05/2013 in Diritto del Lavoro
Pubblicata il 18/02/2013 in Diritto delle Imprese
Pubblicata il 18/02/2013 in Diritto delle Imprese
Pubblicata il 15/01/2013 in Diritto dello Sport
Pubblicata il 30/04/2012 in Diritto Amministrativo
Pubblicata il 24/04/2012 in Diritto Amministrativo
La sentenza, nel ribadire l'abbreviazione dei termini processuali alla metà per il deposito del ricorso, e quindi la tardività dell'appello della società Poste Italiane s.p,a. ribadisce il principio secondo cui l'interesse a richiedere la documentazione, richiesto dall'art. 24 della legge 241/90 può consistere in una qualunque posizione giuridica soggettiva, purché non si tratti del generico e indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell'attività amministrativa: al fine di riconoscere il diritto all'accesso, accanto a tale interesse deve sussistere un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l'ostensione. Questo rapporto di strumentalità deve però essere inteso in senso ampio, ossia in modo che la documentazione richiesta deve costituire mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse.\r\nRibadisce inoltre che l'attività amministrativa, cui gli artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 correlano il diritto d'accesso, ricomprende non solo quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica (Cons. St., sez. VI, 26 gennaio 2006 n. 229; id., 30 dicembre 2005 n. 7624; id., 7 agosto 2002 n. 4152; id., 8 gennaio 2002 n. 67).
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Pubblicata il 24/08/2014 in Diritto Civile
Pubblicata il 21/05/2014 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 21/05/2014 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 21/05/2014 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 01/06/2013 in Diritto delle Imprese
Pubblicata il 22/05/2013 in Diritto del Lavoro
Pubblicata il 17/05/2013 in Diritto di Famiglia
Dalla Corte di Cassazione, 21 marzo 2013 n. 7214 un importante riconoscimento della famiglia di fatto.\r\nNella famiglia di fatto, il convivente more uxorio non è un semplice ospite dell’altro convivente, proprietario esclusivo della casa familiare, ma ha la detenzione qualificata dell’immobile e, quindi, può esercitare l’azione di spoglio, anche contro il partner. La famiglia di fatto è compresa tra le formazioni sociali che l'art. 2 della Costituzione considera la sede di svolgimento della personalità individuale, il convivente gode della casa familiare, di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfare un interesse proprio, oltre che della coppia, sulla base di un titolo a contenuto e matrice personale la cui rilevanza sul piano della giuridicità è custodita dalla Costituzione, sì da assumere i connotati tipici della detenzione qualificata\r\n
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Pubblicata il 17/05/2013 in Diritto di Famiglia
La Cassazione conferma la sentenza della corte di appello, che, utilizzando una relazione della Asl che diagnosticava una sindrome da alienazione parentale dei figli ed evidenziava il danno irreparabile da essi subito per la privazione del rapporto con la madre, ha fatto uso del potere, attribuito al giudice dall'art. 155 sexies c.c., comma 1, di assumere mezzi di prova anche d'ufficio ai fini della decisione sul loro affidamento esclusivo alla madre. Essa, inoltre, ha fondato la decisione anche su altri elementi non specificamente censurati dal ricorrente, concernenti il giudizio negativo circa le attitudini genitoriali del B. (desunto anche dalla reiterata condotta ostruzionistica posta in essere al fine di ostacolare in ogni modo gli incontri dei figli con la madre), dandone conto in una motivazione priva di vizi logici e quindi incensurabile in questa sede.
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Pubblicata il 15/03/2013 in Diritto Amministrativo
Pubblicata il 15/03/2013 in Diritto delle Imprese
Pubblicata il 08/03/2013 in Diritto dello Sport
Pubblicata il 20/02/2013 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 20/02/2013 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 19/02/2013 in Diritto dello Sport
Pubblicata il 19/02/2013 in Diritto dello Sport
Considerata la natura intrinsecamente pericolosa dell'attività sportiva esercitata sulle piste da sci, l'estensione delle stesse e la naturale possibile intrinseca anomalia delle piste, anche per fattori naturali, affinchè si possa pervenire all'individuazione di un comportamento colposo in capo al gestore, ex art. 2043 c.c., con conseguente risarcimento del danno, è necessario, sulla base dei principi generali, che il danneggiato provi l'esistenza di condizioni di pericolo della pista che rendano esigibile (sulla base della diligenza specifica richiesta) la protezione da possibili incidenti, in presenza delle quali è configurabile un comportamento colposo del gestore per la mancata predisposizione di protezioni e segnalazioni, mentre sul gestore ricade l'onere della prova di fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l'utente si sia trovato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la suddetta situazione di pericolo. (Per l'applicazione di tale principio quando, in tema di responsabilità per danni da beni demaniali, non sia configurabile la custodia, Cass. 6 luglio 2006, n. 15383)
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Pubblicata il 19/02/2013 in Diritto delle Imprese
Pubblicata il 15/02/2013 in Diritto dello Sport
Pubblicata il 13/02/2013 in Diritto Civile
Corte di Cassazione, 13 febbraio 2013 n. 3554 - Il contratto di ormeggio, pur rientrando nella categoria dei contratti atipici, è sempre caratterizzato da una struttura minima essenziale (in mancanza della quale non può dirsi realizzata la detta convenzione negoziale), consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo. Peraltro, il suo contenuto può del tutto legittimamente estendersi anche ad altre prestazioni, quali la custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute, restando a carico di chi fonda un determinato diritto (o la responsabilità dell'altro contraente sulla struttura del contratto) fornire la prova dell'oggetto e del contenuto. Il relativo accertamento si esaurisce in un giudizio di merito che, adeguatamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità. \r\nTra le altre, Cass., 1 giugno 2004, n. 10484, Cass., 21 settembre 2011, n. 19201)\r\n
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Pubblicata il 12/02/2013 in Diritto dello Sport
Pubblicata il 11/02/2013 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 10/02/2013 in Diritto dello Sport
Pubblicata il 10/02/2013 in Diritto dello Sport
Pubblicata il 01/02/2013 in Diritto delle Imprese
Le sezioni riunite chiariscono i poteri del giudice di sindacato sulla fattibilità del piano e l'interdipendenza tra procedure di Concordato preventivo e Fallimento.\r\nLa sentenza anzitutto chiarisce che, quando si tratti di proposta concordatizia con cessione di beni la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante, non essendo prescritta da alcuna disposizione la relativa allegazione ed essendo al contrario sufficiente “l’impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni dell’imprenditore liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la liquidazione o ne alterino apprezzabilmente il valore”, salva l’assunzione di una specifica obbligazione in tal senso (Cass. 11/13817), La sentenza poi precisa che è comunque necessaria l’indicazione della percentuale offerta, a pena di inammissibilità per assoluta indeterminatezza e/o indeterminabilità dell’oggetto della proposta e che la proposta “può assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed i tempi di adempimento)” (pagina 46). Queste indicazioni quindi devono essere previste nel ricorso.\r\nLa corte poi affronta compiutamente la problematica dei limiti del Giudice sul controllo sulla "fattibilità" del piano.\r\n\r\nLa sentenza stabilisce che il tribunale non può, nella verifica dei presupposti di ammissibilità, accertare la veridicità dei dati aziendali e/o la fattibilità del piano, il controllo del tribunale nella fase di ammissibilità della proposta, ai sensi degli artt. 162 e 163 l.fall., ha per oggetto solo la completezza e la regolarità della documentazione allegata alla domanda, senza che possa essere svolta una valutazione relativa all'adeguatezza sotto il profilo del merito, per cui il giudice si deve limitare a riscontrare che la relazione di fattibilità dell’attestatore sia in grado o meno di svolgere correttamente la sua funzione ovverosia di fornire gli elementi di valutazione ai creditori.\r\n\r\nLa corte precisa che il controllo del giudice sulla fattibilità del piano è limitato alla fattibilità “giuridica” con esclusione di quella “economica”, il cui sindacato è riservato in via esclusiva ai creditori.\r\nE si chiarisce che la fattibilità “giuridica” consiste nel potere/dovere del giudice di dichiarare l’inammissibilità della proposta “quando modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili”.\r\nChe avviene quando, ad esempio, il debitore programmerebbe di adempiere la proposta utilizzando contratti nulli ovvero (è l’esempio della corte) “la programmata cessione di beni di proprietà altrui”.\r\nQuindi, ad esempio, il Tribunale non potrebbe mai, in ipotesi di ritenuta “sopravvalutazione” di un cespite patrimoniale perché in questo caso il sindacato (ed il relativo rischio) è a carico del ceto creditorio in sede di votazione.\r\nSolo ai creditori è rimessa ogni decisione sul contenuto economico della proposta, sia sotto profilo della verosimiglianza dell’esito e sia su quello della sua convenienza.\r\n
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Pubblicata il 30/01/2013 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 30/01/2013 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 30/01/2013 in Diritto di Famiglia
Corte di Cassazione, n. 2183 2013 - Il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione ed a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità, l'esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pur a prescindere da elementi di addebitabilità da parte dell'altro, la convivenza. Ove tale situazione d'intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto di chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda, costituendo esercizio di un suo diritto, non può costituire ragione di addebito".\r\nNello stesso senso: Cass. 21099/2007
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Pubblicata il 27/01/2013 in Diritto Civile
Pubblicata il 17/01/2013 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 17/08/2012 in Diritto Civile
Pubblicata il 12/08/2012 in Diritto Amministrativo
Pubblicata il 18/07/2012 in Diritto Amministrativo
Pubblicata il 12/07/2012 in Diritto Amministrativo
ualora sia comunque sottoposta a V.A.S. una variante sostanzialmente diretta alla realizzazione di un singolo intervento sottoposto a V.I.A., come nel caso in esame (come risulta dalla determinazione 177/2008 più volte citata, alla pag. 21, e sostanzialmente incontestato dalla ricorrente) l’integrazione tra le due procedure risulta, oltre che legittima, opportuna, ed è suggerita dalla stessa lettera della legge che dà una lettura orientata allo scopo delle procedure, nella parte in cui, all’art. 13 c.4 del d.lgs 152/2006, detta le disposizioni per l’applicazione dell’allegato VI al d.lgs, prescrivendo che le sue previsioni debbano tenere conto di determinate circostanze e permettendo l’utilizzo di approfondimenti o informazioni ottenute nell’ambito di altri livelli decisionali o altrimenti acquisite.
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Pubblicata il 12/07/2012 in Diritto Amministrativo
Il Tar Marche con questa sentenza conferma la legittimità dell 'impugnazione diretta della DIA (dichiarazione di inizio di attività) da parte di un terzo. \r\n\r\nNel corso del 2011 sono intervenute due importanti novità sul tema, l’una di stampo giurisprudenziale (si allude naturalmente alla sentenza n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria), l’altra di matrice legislativa (si fa riferimento all’art. 6 del D.L. 13/8/2011, n. 138, convertito in L. 14/9/2011, n. 148, che, andando deliberatamente contro la richiamata decisione dell’Adunanza Plenaria, ha stabilito che in materia di D.I.A./s.c.i.a. l’unico rimedio esperibile è il ricorso avverso il silenzio).\r\nIl Tar Marche ha affermato che on potendo la predetta norma essere interpretata nel senso di elidere o ridurre gli strumenti di tutela del cittadino – pena il possibile contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost. – il terzo, a prescindere dal meccanismo processuale utilizzato per introdurre la controversia, deve avere la possibilità di chiedere al giudice l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti che legittimano il ricorso alla D.I.A. Questo può avvenire o mediante il ricorso avverso il silenzio (con il quale, dal punto di vista formale, si chiede al giudice di accertare l’obbligo del Comune di provvedere sulla “denuncia” del terzo e quindi di inibire l’attività o di rimuovere ex post il titolo abilitativo formatosi sulla D.I.A.) oppure per il tramite di un’azione impugnatoria (in cui oggetto del gravame è il provvedimento tacito con cui il Comune ha ritenuto di non dover reprimere l’attività svolta in base alla D.I.A.) o, come pure consente oggi il codice del processo amministrativo, proponendo un’atipica azione di accertamento negativo.
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Pubblicata il 12/07/2012 in Diritto Amministrativo
Pubblicata il 12/07/2012 in Diritto Amministrativo
Pubblicata il 16/05/2012 in Diritto Civile
Pubblicata il 30/04/2012 in Diritto delle Imprese
Pubblicata il 30/04/2012 in Diritto delle Imprese
Pubblicata il 27/04/2012 in Diritto del Lavoro
Pubblicata il 27/04/2012 in Diritto Civile
Pubblicata il 24/04/2012 in Diritto Scolastico
A seguito della sentenza della Corte Costituzionale 26 febbraio 2010 n. 80 (con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, commi 413 e 414, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui, rispettivamente, veniva fissato un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno ed era esclusa la possibilità, già contemplata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, di assumere insegnanti di sostegno in deroga), deve essere affermato il principio secondo cui non può in ogni caso costituire impedimento all'assegnazione, in favore dell'allievo disabile, delle ore di sostegno necessarie a realizzare il proprio diritto, il vincolo di un'apposita dotazione organica di docenti specializzati di sostegno, giacché la legge n. 449 del 27.12.1997, all'art. 40, assicura comunque l'integrazione scolastica "degli alunni handicappati con interventi adeguati al tipo e alla gravità dell'handicap, compreso il ricorso all'ampia flessibilità organizzativa e funzionale delle classi prevista dall'art. 21, commi 8 e 9, della legge 15.3.1997, n. 59, nonché la possibilità di assumere con contratto a tempo determinato insegnanti di sostegno in deroga al rapporto docenti-alunni indicato al comma 3, in presenza di handicap particolarmente gravi", consentendosi così di garantire in ogni caso all'alunno bisognevole l'integrazione scolastica attraverso il miglioramento delle sue possibilità nell'apprendere, comunicare e socializzare.
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Pubblicata il 24/04/2012 in Diritto delle Imprese
ai fini della revocatoria fallimentare degli atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone, dichiarato fallito per effetto del fallimento sociale, la "scientia decoctionis" va riscontrata con riferimento all'insolvenza della società, considerato che è quest'ultima insolvenza a determinare il fallimento del socio come conseguenza automatica della sua illimitata responsabilità per i debiti sociali, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di un suo stato di insolvenza personale. Ne consegue che anche l'onere della prova della "inscientia decoctionis", che grava sul convenuto nel caso di domanda di revocatoria fallimentare proposta a norma della L. Fall., art. 67, comma 1, ha come termine di riferimento, non già lo stato di insolvenza del socio suddetto, bensì quello della società "alla quale l'autore dell'atto di disposizione partecipi in regime di responsabilità illimitata"
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Pubblicata il 24/04/2012 in Diritto Sanitario
La fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per la singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni, spetta a un atto autoritativo e vincolante di programmazione regionale, e non già a una fase concordata e convenzionale.\r\nIn materia di imposizione di tetti di spesa a strutture private accreditate a titolo provvisorio, i tetti di spesa sono in via di principio legittimi date le insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica e che il diritto alla salute, di cui all'articolo 32 Cost, possa essere sottoposto a condizioni che ne armonizzino la protezione con i vincoli finanziari a patto di non scalfire in nucleo essenziale irriducibile. Quindi le Regioni, nell'esercitare detta potestà programmatoria, godono di un ampio potere discrezionale, chiamato a bilanciare interessi diversi, ossia llinteresse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, le legittime aspettative degli operatori privati che ispirano le loro condotte ad una logica imprenditoriale e llassicurazione dell'efficienza delle strutture pubbliche che costituiscono un pilastro del sistema sanitario universalistico.\r\nÈ legittimo il provvedimento di determinazione di tetti di spesa sanitaria fissati dalla Regione in corso ddanno, che dispiega i propri effetti anche sulle prestazioni già erogate. Infatti, la retroattività dell'atto di determinazione della spesa non vale ad impedire agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento regolatore per lo svolgimento della loro attivitÈ. È evidente, infatti, che in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell'atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all'inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo - fino a quando non risulti adottato un provvedimento - all'entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell'anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell'anno in corso..
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Pubblicata il 24/04/2012 in Diritto Scolastico
Se va escluso che il riconoscimento del diritto soggettivo all'insegnamento individualizzato degli alunni disabili comporti automaticamente l'assegnazione di un insegnante di sostegno per l'intero monte ore di frequenza settimanale, la stessa resta comunque un'opzione possibile in relazione alla condizione di gravità del disabile: in casi specifici, connotati da una situazione di particolare gravità ed oggetto di accertamento giurisdizionale in caso di contestazione, l'obiettivo primario di tutelare pienamente il diritto all'istruzione del disabile impone, pertanto, di prevedere un'ora di sostegno per ogni ora di frequenza e non esistono prescrizioni normative che si frappongano all'applicazione di tale soluzione, stante la possibilità prevista dall'ordinamento, in presenza di studenti con disabilità grave, di assumere docenti di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni.\r\nLa domanda di accertamento del diritto all' insegnante di sostegno per un numero adeguato alle esigenze dell'alunno disabile può essere accolta anche con riferimento agli anni scolastici successivi, fino alla conclusione del ciclo di studi; né in termini ostativi può richiamarsi l'art. 6 del d.P.R. 24 febbraio 1994, recante "Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap", poiché la richiamata disposizione regolamentare si limita a prescrivere periodiche verifiche in ordine all'efficacia degli interventi attuati a favore degli alunni disabili.\r\nLa pretesa alla conferma del medesimo insegnante di sostegno fino alla conclusione del ciclo di studi, per garantire la continuità didattica e il completamento dei percorsi formativi avviati non può essere accolta in quanto il principio della continuità didattica, particolarmente rilevante nel caso di alunni disabili, va conciliato con i meccanismi di assegnazione degli incarichi di insegnamento ai docenti in possesso di maggiori titoli.\r\n
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Pubblicata il 24/04/2012 in Diritto Scolastico
Pubblicata il 23/04/2012 in Diritto delle Imprese
Pubblicata il 23/04/2012 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 19/04/2012 in Diritto del Lavoro
Pubblicata il 13/04/2012 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 13/04/2012 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 13/04/2012 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 13/04/2012 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 13/04/2012 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 13/04/2012 in Diritto di Famiglia
Pubblicata il 11/04/2012 in Diritto del Lavoro
Pubblicata il 11/04/2012 in Diritto del Lavoro
Pubblicata il 07/04/2012 in Diritto Sanitario
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto del Lavoro
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto Scolastico
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto Scolastico
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto Scolastico
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto Scolastico
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto Scolastico
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto Scolastico
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto Scolastico
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto del Lavoro
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto del Lavoro
Pubblicata il 07/03/2012 in Diritto Scolastico