Sul diritto di accesso ai documenti verso società private di gestori di servizi pubblici (Consiglio di Stato 12.3.2012)


Sul diritto di accesso ai documenti verso società private di gestori di servizi pubblici (Consiglio di Stato 12.3.2012)

Pubblicata il 24/04/2012 in Diritto Amministrativo

 

FATTO
La s.p.a. Poste Italiane riferisce che con due distinti ricorsi (entrambi proposti innanzi al T.A.R. per la Lombardia e recanti - rispettivamente - i numeri 2000/2011 e 1536/2011) i signori P. e Ve. impugnavano gli atti con cui la società appellante aveva respinto le domande da loro proposte al fine di accedere ad alcuni atti relativi ai precorsi rapporti di lavoro a tempo determinato.
Con le sentenze in epigrafe, il Tribunale adìto accoglieva i ricorsi e per l'effetto ordinava alla società appellante di consentire il rilascio della documentazione richiesta.
Le sentenze in questione venivano impugnate dalla società Poste Italiane s.p.a. la quale ne chiedeva la riforma articolando i seguenti motivi:
1) Violazione dell'articolo 24 della legge 241 del 1990.
Il Tribunale avrebbe omesso di rilevare la carenza di interesse degli appellanti ad ottenere l'accesso agli atti relativi al precorso rapporto di lavoro, dal momento che era ormai decorso il termine di legge per proporre qualunque impugnativa (in particolare, era decorso il termine di cui all'articolo 32 della legge 183 del 2010, applicabile anche alla tipologia di rapporti lavorativi all'origine dei fatti di causa).
Conseguentemente, non potrebbe dirsi sussistente alcun nesso di pertinenza/strumentalità fra il richiesto accesso e il rapporto di lavoro all'origine della richiesta.
Inoltre, non sussisterebbe l'interesse dei ricorrenti in primo grado ad ottenere l'accesso agli atti relativi all'organico aziendale al livello locale o regionale.
Ciò, in quanto la normativa in materia di contratti a termine stabilisce dei parametri numerici al livello di organico nazionale, con la conseguenza che il dato richiesto non sarebbe pertinente ai fini dell'eventuale tutela dei diritti in sede giudiziaria.
2) Violazione dell'art. 22, co. 1, lettere d) ed e), co. 4 e 6 della legge 241 del 1990.
Il Tribunale avrebbe omesso di considerare che nel caso di specie non sussistevano i presupposti soggettivi e oggettivi per ammettere il diritto di accesso.
Quanto ai primi, la società appellante sarebbe esclusa dalla normativa sul diritto di accesso, qualificandosi come società commerciale.
Quanto ai secondi, l'attività al cui ambito afferisce la gestione dei rapporti lavorativi non sarebbe qualificabile come "di pubblico interesse', in tal modo restando esclusa dall'applicazione delle previsioni di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 241, cit.
Del resto, pur essendo l'appellante qualificabile come Ente pubblico societario, non potrebbe comunque qualificarsi come amministrazione pubblica anche per ciò che riguarda la disciplina del diritto di accesso.
Del resto, gli atti cui era stato chiesto l'accesso (es.: le "piante organiche') concernono l'organizzazione di impresa e non potrebbero essere assoggettati alla disciplina in tema di accesso neppure enfatizzando il nesso di strumentalità esistente fra questi atti e il pubblico servizio gestito.
3) Violazione dell'articolo 2 del d.P.R. 184 del 2006.
Nel rendere la sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che la pubblica amministrazione non è tenuta a elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richiesta di accesso.
Al contrario, gli appellati avevano chiesto di accedere ad atti (come il libro unico del lavoro) il quale non contiene tutte le informazioni richieste e, comunque, non le contiene in forma aggregata, con la conseguenza di non consentire il soddisfacimento della domanda ostensiva, per come formulata.
Si costituivano in giudizio i signori P. e Ve. i quali eccepivano in primo luogo l'irricevibilità dell'appello (in quanto tardivamente depositato) e, nel merito, la sua infondatezza.
Alla camera di consiglio del 21 febbraio 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO
DIRITTO
1. Giungono alla decisione del Collegio due ricorsi in appello proposti dalla s.p.a. Poste italiane avverso altrettante sentenze con cui il T.A.R. per la Lombardia ha accolto i ricorsi proposti dai signori Pa. e Ve. al fine di ottenere l'accesso ad alcuni atti relativi ai precorsi rapporti di lavoro a tempo determinato.
2. In primo luogo, il Collegio ritiene di disporre la riunione dei ricorsi in epigrafe, sussistendo evidenti ragioni di connessione oggettiva e in parte soggettiva.
3. Deve in primo luogo essere esaminata l'eccezione di tardività sollevata dai signori P. e Ve. in sede di costituzione in giudizio.
Al riguardo, essi deducono che i ricorsi in appello sono stati notificati - rispettivamente - in data 6 e 13 dicembre 2011, mentre il ricorso è stato depositato solo in data 30 dicembre 2011 (ossia, dopo il decorso del termine dimidiato per il deposito di cui agli articoli 116 e 87, comma 3 del c.p.a.).
3.1. L'eccezione è fondata.
Ed infatti, come correttamente rilevato dagli odierni appellati, nel caso del c.d. "rito dell'accessò di cui all'articolo 116 del c.p.a. opera la dimidiazione di tutti i termini processuali stabilita per la generalità dei riti camerali dal comma 3 dell'articolo 87 del c.p.a. (con la sola eccezione - che qui non rileva - del termine per la notificazione del ricorso di primo grado).
La dimidiazione in questione concerne anche il termine per il deposito del ricorso, il quale resta fissato in soli 15 giorni dall'avvenuta notifica (i.e.: nella metà del termine previsto in via generale per il deposito ai sensi dell'art. 45 del c.p.a.).
Tanto premesso, si deve concludere nel senso della tardività dell'appello, il quale - secondo le risultanze in atti - è stato depositato dopo il decorso di 24 giorni (ricorso n. 10526/2011) e di 17 giorni (ricorso n. 10527/2011) dall'avvenuta notifica.
4. Fermo restando il carattere dirimente ai fini della decisione di quanto appena osservato, deve osservarsi che gli appelli in epigrafe sono comunque infondati.
4.1. In particolare, non possono trovare accoglimento i motivi di appello con cui la società appellante ha chiesto che sia dichiarata l'inammissibilità della richiesta ostensiva (che i signori P. e Ve. dicono finalizzata alla tutela anche in sede giudiziaria dei propri diritti nella loro qualità di lavoratori) in base alla ritenuta tardività o infondatezza delle relative pretese le quali, quindi, non potrebbero in alcun modo trovare accoglimento anche laddove venisse consentito l'accesso agli atti per cui è causa.
Si osserva al riguardo che, in base a un consolidato (e qui condiviso) orientamento, l'interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l'accesso può consistere in una qualunque posizione giuridica soggettiva, purché non si tratti del generico e indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell'attività amministrativa: al fine di riconoscere il diritto all'accesso, accanto a tale interesse deve sussistere un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l'ostensione. Questo rapporto di strumentalità deve però essere inteso in senso ampio, ossia in modo che la documentazione richiesta deve costituire mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse.
Pertanto, l'interesse all'accesso ai documenti deve essere considerato in astratto, escludendo che, con riferimento al caso specifico, possa esservi spazio per l'amministrazione per compiere apprezzamenti in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale proponibile. La legittimazione all'accesso non può dunque essere valutata facendo riferimento alla fondatezza della pretesa sostanziale sottostante, ma ha consistenza autonoma, indifferente allo scopo ultimo per cui viene esercitata (Cons. Stato, 13 ottobre 2010, n. 7486).
Impostati in tal modo i termini concettuali della questione, ne consegue l'infondatezza dei ricorsi in appello, atteso che:
- i ricorrenti in primo grado hanno plausibilmente prospettato l'esistenza di un nesso di strumentalità fra l'accesso ai documenti relativi alla struttura e all'organizzazione lavorativa della società appellante e la tutela anche in sede giurisdizionale dei propri diritti ed interessi quali ex lavoratori;
- essi hanno rivolto le richieste ostensive ad atti comunque riferibili al rapporto lavorativo precorso (e, in via mediata, all'ambito entro cui tale rapporto di era svolto).
Conseguentemente, non può negarsi la pertinenza della richiesta formulata e la sussistenza dell'interesse all'accesso. Al contrario, deve negarsi che il giudizio di pertinenza possa essere inteso in modo così stringente da rimettere all'Amministrazione una sorta di improprio giudizio prognostico circa l'esito del giudizio alla cui proposizione la domanda di accesso è strumentale.
4.2. Neppure può ritenersi che difettino nel caso di specie i presupposti soggettivi ovvero oggettivi per l'accesso.
Quanto ai primi, si osserva che la veste societaria non è di per sé sufficiente ad escludere la s.p.a. Poste Italiane dalla disciplina in tema di accesso, ai sensi dell'articolo 22, comma 1, lettera e), della legge 241 del 1990, secondo cui nel novero delle "pubbliche amministrazionì assoggettate alla disciplina in materia di accesso rientrano "tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse, disciplinata dal diritto nazionale o comunitario".
La Sezione ritiene di non doversi discostare dal già espresso orientamento, secondo cui l'attività amministrativa, cui gli artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 correlano il diritto d'accesso, ricomprende non solo quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica (Cons. St., sez. VI, 26 gennaio 2006 n. 229; id., 30 dicembre 2005 n. 7624; id., 7 agosto 2002 n. 4152; id., 8 gennaio 2002 n. 67).
Con le citate decisioni, la Sezione ha ritenuto che i dipendenti di Poste Italiane s.p.a., anche cessati dal rapporto, avessero diritto ad accedere ad alcuni atti relativi all'organizzazione interna della società, quali gli atti di un procedimento privatistico per la selezione dei dirigenti o i fogli firma delle presenze giornaliere, a nulla rilevando che l'attività di Poste si svolga in parte in regime di concorrenza.
In tali casi l'attività della s.p.a. Poste Italiane, relativa alla gestione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti, è stata ritenuta strumentale al servizio da essa gestito ed incidente potenzialmente sulla qualità di un servizio, il cui rilievo pubblicistico va valutato tenendo conto non solo della dimensione oggettiva, ma anche di quella propriamente soggettiva di Poste Italiane.
Deve, di conseguenza, ritenersi che la s.p.a. Poste Italiane è soggetta alla disciplina in tema di accesso nei limiti già precisati con i citati precedenti della Sezione e che lo è nel caso di specie, in cui appunto l'accesso è stato richiesto in relazione alla predetta attività di organizzazione delle forze lavorative e quindi del servizio postale.
4.3. Quanto all'ultima delle censure sollevate dalla società appellante (per asserita violazione dell'articolo 2 del d.P.R. 184 del 2006), si osserva che essa non può trovare accoglimento per la genericità della sua formulazione.
E infatti, la società appellante non ha indicato per quali ragioni effettive la domanda di accesso formulata dagli odierni appellati comporterebbe in capo ad essa un onere di rielaborazione di dati al fine di soddisfare la domanda stessa.
Al riguardo, l'appellante si limita ad affermare in modo sostanzialmente apodittico che la sentenza impugnata la costringerebbe a una complessa rielaborazione dei dati riportati nel "libro unico del lavoro'.
5. Per le ragioni sin qui esposte i ricorsi in epigrafe, che vannosi in modo congiunto, devono essere respinti.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe, previa riunione li respinge.
Condanna la società Poste Italiane alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.000 (duemila) in favore di ciascuno degli appellati, oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Roberta Vigotti, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 12 MAR. 2012

 

Consiglio di Stato  sez. VI,  12 marzo 2012,  n. 1403