Determinazione dell'indennità di cessazione del rapporto tra legge e contratti collettivi


Determinazione dell'indennità di cessazione del rapporto tra legge e contratti collettivi

Pubblicata il 27/04/2012 in Diritto del Lavoro

A seguito dell’evoluzione della giurisprudenza in materia deve ritenersi che il calcolo dell’indennità di cessazione del rapporto va effettuato esclusivamente  sulla base di quanto disposto dall’art. 1751 c.c. emanato in attuazione della Direttiva 86/653/CEE e non sulla base degli accordi economici collettivi.

 

Le condizioni per ottenere l’indennità di fine rapporto sono fissate dall’art. 17 par. 2 della direttiva 86/653/CEE: «l’agente commerciale ha diritto ad un’indennità se e nella misura in cui: - abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; - il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in partico- lare delle provvigioni che l’agente commerciale perde e che risultano dagli affari con tali clienti».

 

In attuazione di tale disposizione comunitaria l’art. 1751 comma 1 c.c. stabilisce :

“All’atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni:

- l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

- il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte del circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

 

Con riferimento alla titolarità del diritto all’indennità di fine rapporto, essa spetta all’“agente”. La legge non definisce l’agente ma dà la diversa nozione di contratto di agenzia (dalla quale si può peraltro ricavare la definizione di agente): «col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata» (art. 1742 comma 1 c.c.). Tale definizione non fa alcuna distinzione in base alla natura dell’agente, che può pertanto essere sia una persona fisica sia una persona giuridica. A questo riguardo è utile segnalare una recente sentenza della Corte di cassazione (Cass. 17 marzo 2009, n. 6481), la quale ha deciso che dalla legge non risultano elementi idonei ad istituire un regime differenziato per l’indennità di fine rapporto in ragione della natura del soggetto che ha svolto l’attività di agente. Non ha pertanto rilievo che l’agente sia una persona fisica oppure una persona giuridica. In particolare l’indennità di fine rapporto spetta anche all’agente che operi in forma di società di capitali.

 

’indennità di fine rapporto dell’agente si distingue dall’indennità di fine rapporto del lavoratore subordinato, per il quale l’art. 2120 comma 1 c.c. statuisce che si tratta di un diritto che compete “in ogni caso”. Cass. 12 giugno 2008, n. 15784, dopo aver evidenziato che l’art. 1751 c.c. è stato interamente sostituito dal d.lgs. n. 303 del 1991 che ha dato attuazione nel diritto interno alla direttiva 86/653/CEE, indica come la nuova normativa abbia sottolineato il carattere imprenditoriale dell’agenzia e abbia distaccato più nettamente la sua disciplina da quella del lavoro subordinato. In particolare l’indennità di cessazione del rapporto non è più dovuta all’agente in ogni caso di scioglimento del rapporto.

 

Quindi la prima condizione fissata dal legislatore italiano per il riconoscimento dell’indennità di fine rapporto è che «l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti» (art. 1751 comma 1 c.c.).

L’indennità può essere riconosciuta solo se il preponente trae ancora vantaggi dagli affari con i clienti acquisiti o sviluppati dall’agente, e non più, come nel sistema previgente e negli accordi collettivi, in relazione alla durata del rapporto e al mero incremento del fatturato.

 

La relazione 23 luglio 1996 sull’applicazione dell’art. 17 della Direttiva 86/653/CE

In essa vi si legge: “il sistema di indennità si ispira all’art. 89b del HGB che dal 1953…. ha dato luogo ad un’ampia giurisprudenza per quanto riguarda il calcolo di quest’ultima.

Tale giurisprudenza e la prassi da essa derivante dovrebbero fornire un aiuto di grande portata ai tribunali degli altri Stati membri dell’interpretazione delle disposizioni dell’Art. 14”.

Si legge al punto 22 della sentenza della CdG del 26 marzo 2009:”La Corte ha già avuto modo di far riferimento alla relazione sull’applicazione dell’art. 17 della direttiva presentata dalla Commissione il 23 luglio 1996.

Tale relazione fornisce informazioni dettagliate per quanto riguarda il calcolo effettivo dell’indennità e mira a facilitare un’interpretazione più uniforme del detto art. 17”.

Quindi in buona sostanza:

- Il Giudice non può mai fare alcun riferimento agli A.E.C. e dovrà fare esclusivo riferimento alla relazione del 1996.

- Non esiste un altro sistema di calcolo possibile se non quello previsto dall’art. 1751 c.c. Le stesse condizioni determinano sia l’an che il quantum.

 

In concreto quindi per determinare quale sia l’indennità dovuta occorre analizzare esclusivamente quanto previsto dal citato art. 1751.

 

L’agente deve anzitutto avere procurato nuovi clienti. Bisogna dunque confrontare quelli che erano i clienti al momento dell’inizio del rapporto contrattuale di agenzia e quelli che sono i clienti al momento finale.

Se l’agente è il primo soggetto a sviluppare un determinato mercato, evidentemente tutti i clienti acquisiti si devono considerare come nuovi.

In alternativa alla possibilità di acquisire nuovi clienti, l’agente viene premiato con l’indennità di fine rapporto quando ha sviluppato gli affari con i clienti esistenti.

Quindi occorre confrontare il fatturato realizzato all’inizio del rapporto con i clienti che erano già propri del preponente con il fatturato che viene realizzato alla fine del rapporto con gli stessi clienti.

La legge specifica però che lo sviluppo deve essere “sensibile”. Questo significa che un piccolo aumento di fatturato non è sufficiente a giustificare il riconoscimento dell’indennità.

Dal lavoro svolto dall’agente il preponente deve trarre ancora vantaggi, affinché si possa riconoscere l’indennità di fine rapporto. Bisogna pertanto che il preponente continui a fare affari con tali clienti. Occorre inoltre, come specifica il testo legislativo, che tali vantaggi siano “sostanziali”.

 

Inoltre la norma prevede che «il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti».

Il criterio equitativo, previsto dal diritto comunitario e da quello italiano, è indefinito.

In collegamento con la sentenza della Corte di giustizia la Corte di cassazione (Cass. 1° giugno 2009, n. 12724) ha avuto occasione di occuparsi del rilievo del criterio dell’equità nella determinazione dell’indennità di fine rapporto. La Cassazione ha deciso che al fine della quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto spettante all’agente, ove risultino dimostrate le circostanze di fatto previste dall’art. 1751 comma 1 c.c. (ossia di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esi- stenti, sempre che il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti), il giudice è tenuto a verificare se nei limiti posti dall’art. 1751 comma 3 c.c. la quantificazione dell’indennità calcolata sulla base dei criteri posti dall’accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 sia corrispondente al canone di equità prescritto dal medesimo art. 1751 comma 1 c.c., tenuto conto di tutte le circostanze del caso e in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti, e, ove non la ritenga tale, deve in mancanza di una specifica disciplina collettiva riconoscere all’agente il differenziale necessario per riportarla a equità.

 

La legge prevede alcuni casi in cui l’indennità di fine rapporto non può essere riconosciuta all’a- gente. Più precisamente il testo legislativo stabilisce che «l’indennità non è dovuta: quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto; quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività; quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto di agenzia» (art. 1751 comma 2 c.c.).

 

La legge prevede poi che «l’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione» (art. 1751 comma 3 c.c.).

 

Sulle modalità di calcolo dell’indennità si devono prendere in considerazione gli ultimi cinque anni del rapporto contrattuale.

In una prima fase si sommano tutte le retribuzioni percepite dall’agente in tali cinque anni.

Non le  “provvigioni” quindi ma le “retribuzioni”, quindi anche  altri eventuali compensi (ad esempio dei fissi), i quali concorrono nel calcolo dell’indennità di fine rapporto.

Ottenuto un certo risultato sommando le retribuzioni degli ultimi cinque anni, la procedura di calcolo - in una seconda fase - consiste nel dividere tale somma per cinque, ottenendo così la media annuale dei guadagni (degli ultimi cinque anni). L’importo che ne risulta è l’ammontare massimo dell’indennità di fine rapporto che può essere riconosciuto all’agente.

 

In conclusione:

 

-La durata del contratto non conta nulla

- occorre valutare i nuovi clienti (o i clienti sviluppati), non l’aumento di fatturato complessivo

- la valutazione equitativa interviene dopo il computo

- la media degli ultimi cinque anni è solo un limite massimo, non è la quantificazione dell’indennità

- nelle valutazioni di equità occorre tenere conto del patto di non concorrenza  (ove esita) e dell’impegno dell’agente al netto del “merito” del prodotto e degli investimenti (pubblicitari, di struttura, etc.) fatti dal preponente.

 

 

In conclusione l’applicazione concreta dell’art. 1751 c.c. prevede tre fasi

Fase 1

Accertamento del numero di nuovi clienti e dello sviluppo degli affari con i clienti esistenti. I clienti esistenti che non sono stati sviluppati non devono essere presi in considerazione. Calcolo della relativa provvigione lorda per gli ultimi 12 mesi del contratto di agenzia. Stima (calcolata in termini di anni) della probabile durata futura dei vantaggi che derivano al preponente degli affari con i nuovi clienti e con i clienti sviluppati.

Fase 2

Aggiustamento della cifra per motivi di equità sulla base di diversi fattori (patto di non concorrenza  (ove esita) e dell’impegno dell’agente al netto del “merito” del prodotto e degli investimenti (pubblicitari, di struttura, etc.) fatti dal preponente).

Fase 3

Raffronto dell’importo calcolato con il massimo previsto dall’art. 17 par. 2, lett. b) della Direttiva (Una annualità di provvigioni).

 

 

FASE UNO

Provvigioni ultimo anno                                                                                              150.000 euro

N. totali clienti 120

N. clienti nuovi            30

N. clienti sviluppati      10

Provvigioni sui 30 clienti nuovi e sui 10 clienti sviluppati negli ultimi

10 mesi di agenzia:                                                                                                      50.000 euro

 

FASE DUE

 

durata prevista dei benefici pari a tre anni con “tasso di migrazione” del 20%:

1° anno 50.000 – 10.000     = 40.000 euro

2° anno 40.000 -8.000           = 32.000 euro

3° anno 32.000 -6.400           = 25.600 euro 

Totale provvigioni perdute = 97.600 euro deduzione degli interessi 97.600 euro-4.880 euro = 92.720 euro ad esempio 5% (2,5% all’anno)

 

FASE TRE

 

Media delle provvigioni degli ultimi 5 anni 85.000 euro.