Illegittimo il decreto Salva Banche La Corte Costituzionale boccia la prescrizione breve


Illegittimo il decreto Salva Banche La Corte Costituzionale boccia la prescrizione breve

Pubblicata il 30/04/2012 in Diritto delle Imprese

 

Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, con ordinanza del 10 marzo 2011 (r.o. n. 145 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 101, 102, 104, 111 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge, 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla detta legge di conversione.
1.1.- Il rimettente premette che S.C. aveva convenuto in giudizio la Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., chiedendo - sulla base del consolidato indirizzo giurisprudenziale in ordine alla nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della commissione di massimo scoperto - la nuova determinazione del saldo del conto corrente n. 2741/R, aperto l'11 aprile 1994, sino alla data dell'ultima operazione del 29 dicembre 1998, con condanna della banca alla restituzione dell'indebito versato; che, costituitasi in giudizio, la banca convenuta aveva dedotto la liceità della capitalizzazione trimestrale degli interessi ed eccepito la prescrizione estintiva, chiedendo il rigetto della domanda; che, disposta consulenza tecnica d'ufficio per il ricalcolo del saldo, la causa era stata ritenuta matura per la decisione e rinviata all'udienza per la discussione orale, ai sensi dell' art. 281-sexies codice di procedura civile, con concessione alle parti dei termini per il deposito di note conclusive.
1.2.- In punto di rilevanza, dopo avere riportato il testo della norma denunziata, il giudice a quo osserva che la natura dichiaratamente interpretativa della norma e l'eccezione di prescrizione della parte convenuta ne impongono l'applicazione nel giudizio principale.
1.3.- Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il rimettente ravvisa la violazione dei limiti interni, individuati dalla Corte costituzionale, alla ammissibilità di una norma interpretativa, nonché la violazione degli artt. 3, 24, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, Cost., in relazione all' art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Quanto alla assunta violazione dei limiti interni all'ammissibilità di una norma di interpretazione autentica, il giudice a quo deduce la irragionevolezza della norma censurata, sia per l'inesistenza di una norma specifica da interpretare, quale condizione dell'esercizio del potere di legislazione a fini interpretativi, sia perché l'interpretazione prospettata non potrebbe essere inclusa tra quelle legittimamente desumibili dalla disciplina complessiva dell'istituto.
In relazione al primo rilievo, il rimettente osserva che l'art. 2935 del codice civile - secondo cui il dies a quo, ai fini della prescrizione di un diritto, decorre dal momento in cui il suo titolare è posto nelle condizioni di poterlo esercitare - costituisce una regola di carattere generale, che necessita della etero-integrazione della disciplina speciale prevista per i singoli tipi contrattuali, nonché dei principi generali in materia di adempimento delle obbligazioni e di ripetizione d'indebito. Nel caso di specie, le norme etero-integratrici sarebbero da individuare nella disciplina delle operazioni bancarie e nel conto corrente bancario.
Il giudicante rileva che una legge di interpretazione autentica avrebbe dovuto avere ad oggetto una norma che disciplinasse di per sé, in maniera specifica, la decorrenza della prescrizione con riguardo al contratto di apertura di credito, regolato in conto corrente, selezionandone una delle possibili opzioni. Invero, l'inesistenza di una disciplina specifica aveva indotto gli interpreti ad applicare un principio generale (desumibile dall'art. 2935 cod. civ.), adattato allo schema e alla funzione del singolo contratto bancario.
Quanto al secondo rilievo, concernente l'impossibilità d'includere la soluzione interpretativa prospettata tra quelle legittimamente desumibili dalla disciplina complessiva dell'istituto, il rimettente osserva che, nel rapporto di conto corrente bancario, in armonia con i principi generali in materia di adempimento, di ripetizione d'indebito e con quelli relativi alla causa del contratto medesimo, il decorso della prescrizione dell'azione di ripetizione - come ritenuto dalla Corte di cassazione a sezioni unite nella sentenza del 2 dicembre 2010, n. 24418 - sarebbe da individuare : a) nella data di un versamento (nell'ipotesi di conto passivo, senza affidamento, oppure di superamento del limite affidato); b) nella chiusura del rapporto (quando non siano effettuati versamenti, in pendenza di rapporto, o quando il versamento effettuato in pendenza di rapporto abbia funzione meramente ripristinatoria dell'affido utilizzabile). Infatti, quando il passivo non abbia superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, i versamenti da questi posti in essere avrebbero natura di atti ripristinatori della provvista di cui il correntista può ancora continuare a godere (Corte di cassazione, sezioni unite, del 2 dicembre 2010, n. 24418; Corte di cassazione, sezione prima civile, del 6 novembre 2007, n. 23107, del 23 novembre 2005, n. 24588 e del 18 ottobre 1982, n. 5413). In questo caso, la fattispecie dell'adempimento, sub specie di pagamento, sarebbe configurabile soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia preteso e ottenuto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino comprese somme e competenze non dovute. Ad avviso del rimettente, il legislatore, con la norma censurata, avendo fatto decorrere la prescrizione dei diritti nascenti dall'annotazione dal giorno di questa, non avrebbe attribuito alla norma interpretata un significato compatibile con il novero delle possibili opzioni ermeneutiche. L'esclusione dell'interpretazione della norma censurata dal novero di quelle ammissibili si desumerebbe anche dalla individuazione, ad opera del legislatore, del dies a quo della decorrenza della prescrizione in una circostanza di fatto, quale l'annotazione in conto, esulante dalla sfera conoscitiva del cliente, essendo quest'ultimo edotto delle movimentazioni del conto soltanto con la ricezione dell'estratto conto.
Con riferimento all'assunta violazione del principio di azione e di indefettibilità della tutela giurisdizionale, di cui all'art. 24 Cost., il Tribunale censura sia la prima che la seconda parte del citato art. 2, comma 61.
In particolare, in merito alla prima parte della disposizione secondo cui «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa», il rimettente denuncia la scelta del legislatore, diretta ad individuare il dies a quo del decorso della prescrizione in una circostanza di fatto, l'annotazione, esulante dalla sfera conoscitiva e di conoscibilità del cliente. Allo stesso modo, assume la illegittimità della seconda parte della disposizione, secondo cui «In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», qualora sia letta - non nel senso di una clausola di salvaguardia della posizione giuridica di chi abbia già ricevuto il rimborso, cui la prescrizione non può essere più eccepita - ma nel senso di un divieto generalizzato di ripetizione in via stragiudiziale e giudiziale delle somme indebitamente corrisposte dai clienti del sistema bancario (come interessi superiori al tasso legale o anatocistici).
In particolare, tale ultima opzione interpretativa - che, secondo lo stesso rimettente, sarebbe probabilmente da escludere sulla base di un'esegesi costituzionalmente orientata della norma - contrasterebbe con il principio di "giustiziabilità" delle posizioni giuridiche.
Il dedotto profilo di illegittimità sarebbe aggravato dalla portata retroattiva attribuita dal legislatore alla norma de qua, in virtù della prima parte della stessa. Al riguardo, il rimettente richiama una serie di pronunce della Corte costituzionale sulla indefettibilità della tutela giurisdizionale, quale caposaldo dello Stato di diritto (sentenze n. 325 del 1998, n. 381 del 1997, n. 152 e n. 54 del 1996, nn. 232, 206 e 49 del 1994, n. 127 del 1977).
Con riguardo alla dedotta violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di uguaglianza e ragionevolezza, il Tribunale lamenta, in primo luogo, l'introduzione di un'inammissibile disparità di trattamento tra banche e utenti del sistema bancario, in quanto la norma censurata, nello stabilire il dies a quo della decorrenza della prescrizione dal giorno della annotazione, assicurerebbe un ingiustificato privilegio per le banche, a danno del contraente debole, qual è l'utente del sistema bancario. Ad avviso del rimettente, una legge che avesse voluto perseguire l'attuazione del principio di uguaglianza, sub specie di eliminazione degli ostacoli all'esercizio dei diritti dell'utente del sistema bancario, avrebbe dovuto far decorrere il dies a quo, in ogni caso, dalla chiusura del conto.
Sempre con riferimento all'assunto contrasto con l'art. 3 Cost., il rimettente denuncia la violazione del principio di uguaglianza anche sotto il profilo della introduzione di una disparità di trattamento tra tipologie contrattuali assimilabili sotto il profilo funzionale. Al riguardo, il Tribunale rileva come il cosiddetto contratto di conto corrente di corrispondenza, qualificabile come negozio complesso atipico o come forma di collegamento negoziale, ricomprenderebbe delle fattispecie, quali, ad esempio, il mandato o il deposito, la prescrizione dei cui diritti inizierebbe a decorrere dalla cessazione dei rispettivi rapporti.
In ordine all'assunta violazione dell'art. 3 Cost., il giudice a quo lamenta, inoltre, l'introduzione di un'inammissibile disparità di trattamento tra somme versate indebitamente, rispettivamente prima e dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 225 del 2010.
In particolare, in forza della seconda parte della disposizione censurata, la paralisi dei poteri sostanziali e processuali di tutela degli utenti del sistema bancario opererebbe per le sole somme già versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del detto decreto-legge, con ingiustificata compressione del diritto di ripetizione dell'indebito solo per chi abbia posto in essere pagamenti fino alla suddetta soglia temporale.
Il Tribunale assume anche il contrasto della citata disposizione con l'art. 111 Cost., in tema di giusto processo, sub specie della parità delle armi, in quanto, supportata da una previsione di retroattività, verrebbe a sancire - se non altro nelle ipotesi in cui dalle indebite annotazioni della banca sia decorso un decennio - la paralisi dei poteri sostanziali e processuali di chi abbia agito in giudizio esperendo un'azione di ripetizione dell'indebito.
Il rimettente deduce, altresì, la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. in relazione all' art. 6 della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Tale norma convenzionale, nell'interpretazione datane dalla Corte EDU, imporrebbe al legislatore di uno Stato contraente di non interferire nell'amministrazione della giustizia, allo scopo di influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di controversie, attraverso norme interpretative che, violando il principio di «parità delle armi», assegnino alla disposizione interpretata un significato vantaggioso per una parte del procedimento, salvo il caso di «ragioni imperative di interesse generale» (sentenza della citata Corte 21 giugno 2007, Scanner de L'Ouest Lyonnais e altri contro Francia; 28 ottobre 1999, Zielinski e altri contro Francia). In alcuni casi, la Corte EDU avrebbe ritenuto legittimo l'intervento del legislatore, che, per porre rimedio ad una imperfezione tecnica della norma interpretata, avrebbe inteso, con la legge retroattiva, ristabilire un'interpretazione più aderente all'originaria volontà del legislatore (sentenza della citata Corte 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society e altri contro Regno Unito; nello stesso solco, si pone la sentenza 27 maggio 2004, Ogis-Institut Stanislas e altri contro Francia). Nel caso di specie, mancherebbe una specifica norma da interpretare e il legislatore avrebbe omesso di regolare in modo espresso la prescrizione di diritti connessi ai rapporti bancari, così indirettamente rinviando alla norma di carattere generale, ai principi regolativi della materia delle obbligazioni, nonché alla funzione e struttura delle singole operazioni bancarie.
Infine, il Tribunale deduce il contrasto con gli artt. 101, 102 e 104 Cost. sotto il profilo della possibile incidenza della norma censurata su concrete fattispecie "sub iudice", a vantaggio di una delle due parti del giudizio (ex plurimis: sentenze n. 397 e n. 6 del 1994; n. 429, n. 283 e n. 39 del 1993).
2.- Con memoria depositata in data 18 luglio 2011, si è costituita nel giudizio di legittimità costituzionale la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., quale incorporante la Banca Antoveneta s.p.a. (già Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
2.1.- In primo luogo, l'istituto di credito deduce la sinteticità della motivazione del rimettente sulla rilevanza in ordine alla prima parte del censurato art. 2, comma 61, e l'assenza di motivazione sulla rilevanza in ordine alla seconda parte di detta norma, concernente la ripetizione di importi già versati e non già la prescrizione dei diritti nascenti dalla annotazione nel conto corrente bancario, sulla cui eccezione il Tribunale è chiamato a pronunciarsi.
In particolare, qualora dalla consulenza tecnica risultasse che la banca non deve restituire alcunché perché il conto corrente dell'attrice si è chiuso con un saldo passivo, non potrebbe esservi rilevanza della questione sulla seconda parte della norma, in quanto la pretesa restitutoria sarebbe priva di oggetto e, dunque, inesistente.
2.2.- L'istituto di credito rileva, altresì, che la motivazione dell'ordinanza di rimessione sulla non manifesta infondatezza della questione si fonda sull'erroneo presupposto del carattere innovativo della norma censurata.
Invero, alla luce di due possibili chiavi di lettura costituzionalmente orientate della disposizione in esame, emergerebbe il carattere della norma effettivamente di interpretazione autentica.
Secondo una prima possibile lettura del citato art. 2, comma 61, la norma in questione avrebbe codificato l'interpretazione espressa dalla Corte di cassazione, a sezioni unite, nella sentenza del 2 dicembre 2010, n. 24418.
In particolare, nella detta pronuncia, la Corte di cassazione - dopo avere premesso che, ai sensi dell'art. 1422 cod. civ., il diritto "prescrittibile", derivante da un'annotazione nel conto corrente bancario, altro non potrebbe essere se non il diritto alla ripetizione da parte del correntista di addebiti operati dalla banca per una causale affetta da nullità - preciserebbe che, in tal caso, il termine di prescrizione inizia a decorrere, non già dalla data della sentenza di accertamento della nullità del titolo giustificativo del pagamento, ma da quella del pagamento, ovvero, nel caso di operazioni bancarie, dal giorno in cui la rimessa che ha ripianato un illegittimo addebito viene annotata nel conto. La Corte distinguerebbe tra rimesse "solutorie", costituenti pagamenti ripetibili, se non dovuti, e quelle "ripristinatorie" della disponibilità accordata dalla banca al correntista mediante apertura di credito.
Nel primo caso, la prescrizione della condictio indebiti decorrerebbe dalla data della annotazione "a credito" successiva all'illegittimo addebito da parte della banca; nel secondo caso la solutio avverrebbe solo al termine del rapporto e la prescrizione del diritto nascente da un'annotazione in conto inizierebbe a decorrere dalla chiusura del conto (sulla nozione di "pagamenti" del correntista nello svolgimento del conto corrente bancario è richiamata anche la giurisprudenza di legittimità sulla identificazione di pagamenti suscettibili di revoca ai sensi dell'art. 67, secondo comma, legge fallimentare, ante riforma, perché eseguiti da un imprenditore in stato di insolvenza, conosciuto dalla banca).
Pertanto, con la norma censurata, il legislatore avrebbe reso vincolante la soluzione ermeneutica espressa dalla giurisprudenza di legittimità, individuando nella data della annotazione "a credito", costituente rimessa "solutoria" e dunque pagamento "ripetibile", la data della decorrenza del termine di prescrizione della condictio indebiti.
Secondo un'altra possibile lettura della giurisprudenza di merito, il censurato art. 2, comma 61, potrebbe essere inteso con riferimento al disposto dell'art. 1827 cod. civ. e, dunque, al diritto del correntista di fare espellere dal conto l'annotazione di crediti della banca basati su titoli dichiarati nulli, annullati, rescissi o risoluti ( Tribunale di Milano, sentenza del 7 aprile 2011). In particolare, dovendosi considerare il disposto dell'art. 1827 cod. civ. come norma applicativa, nella specifica materia, dei principi generali di cui all'art. 1422 cod. civ., l'azione ripristinatoria del corretto saldo del conto corrente, con esclusione delle partite basate su titoli nulli, andrebbe ricompresa tra le azioni soggette a prescrizione ordinaria.
In questa chiave di lettura, il termine "annotazioni in conto" di cui alla norma censurata si riferirebbe agli "addebiti" che la banca annota in conto, dai quali, ove basati su titoli viziati, decorrerebbe il termine di prescrizione dell'azione esperibile dal correntista per ottenerne la cancellazione.
La richiamata giurisprudenza di merito ha dichiarato manifestamente infondate le eccezioni di incostituzionalità della norma in questione, non essendo stato ravvisato, nel detto intervento legislativo, alcun contenuto innovativo, bensì, nei termini di cui sopra, di interpretazione autentica dell'art. 2935 cod. civ., letto in combinato disposto con gli artt. 1832 e 1422 cod. civ.
La natura di norma di interpretazione autentica della disposizione in esame comporterebbe, ad avviso dell'istituto di credito, la infondatezza delle censure di cui all'ordinanza di rimessione.
In particolare, non sarebbe ravvisabile alcuna violazione delle attribuzioni del potere giudiziario, con esclusione dell'assunto contrasto con gli artt. 24, 111 e 117 Cost., in relazione all' art. 6 della CEDU.
In considerazione delle interpretazioni rese plausibili dalla norma censurata, difetterebbe ogni elemento da cui desumere la incidenza sui giudizi in corso.
Invero, una indicazione interpretativa sul computo del termine di prescrizione entro il quale vanno fatti valere eventuali diritti in una particolare fattispecie non inciderebbe sul principio di azione ex art. 24 Cost., né tantomeno sul principio di uguaglianza ai sensi dell'art. 3 Cost. In particolare, sotto il profilo della assunta disparità di trattamento, l'istituto di credito osserva che mancherebbero le fattispecie diverse a confronto, trattandosi di due contraenti di un medesimo rapporto negoziale. Inoltre, la decorrenza della prescrizione della condictio indebiti varrebbe ugualmente per i versamenti indebiti del correntista e della banca.
3.- Con atto depositato in data 19 luglio 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
3.1.- In primo luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della questione, in quanto il Tribunale avrebbe omesso di valutare i profili di rilevanza delle eccezioni formulate, essendosi limitato a svolgere astratte considerazioni sulla legittimità della norma censurata, senza spiegare se ed in quali termini la sua applicazione possa incidere concretamente sull'esito della causa pendente dinanzi a sé.
Al riguardo, il rimettente assumerebbe che la norma censurata, nel far decorrere, in ordine alle operazioni bancarie in conto corrente, la prescrizione del diritto a ripetere le somme indebitamente versate (ad esempio, a titolo di interessi anatocistici contabilizzati trimestralmente) dalla data di annotazione in conto, violerebbe i principi sull'indebito pagamento espressi dalla Corte di cassazione a sezioni unite, secondo cui la prescrizione inizia a decorrere dalla data dei singoli pagamenti ovvero dalla chiusura del conto a seconda che i versamenti effettuati abbiano natura solutoria o ripristinatoria. Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, il giudice a quo avrebbe descritto genericamente la fattispecie del giudizio principale, non specificando se la domanda formulata nel detto giudizio possa trovare accoglimento in base ai principi espressi dalla Corte di cassazione e, quindi, se sia rilevante e decisivo, ai fini del decidere, lo ius superveniens, che individua una diversa decorrenza dei termini prescrizionali. In particolare, il rimettente non avrebbe precisato quando sarebbero stati effettuati i versamenti delle somme richieste in ripetizione, a quale credito siano stati imputati, se si sia trattato di pagamenti di carattere "solutorio" o "ripristinatorio", in quanto inerenti a situazioni extra-fido o eccedenti il massimo scoperto ovvero a passività rientranti nell'ambito della provvista.
3.2.- La difesa erariale deduce, inoltre, una lettura indifferenziata e confusa della norma censurata da parte del Tribunale, non essendo stata operata la necessaria differenziazione tra le diverse disposizioni della prima e della seconda parte di essa, attinenti rispettivamente alla interpretazione della disciplina della prescrizione in relazione ai contratti di conto corrente bancario e all'esercizio delle azioni restitutorie. In particolare, avendo il Tribunale interpretato la seconda parte della norma denunciata nel senso di una generale e radicale preclusione del diritto di agire per la restituzione delle somme versate, sarebbe irrilevante e, dunque, inammissibile la questione di costituzionalità riferita alla prima parte di essa, relativa al tema della prescrizione.
3.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce la inammissibilità della questione anche sotto il profilo della mancata sperimentazione da parte del rimettente di una interpretazione della norma censurata conforme a Costituzione (ordinanze n. 139, n. 101 e n. 15 del 2011; n. 205 del 2008).
La difesa erariale sottolinea come molti giudici di merito, abbiano optato per un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, alcuni riconoscendo ad essa natura innovativa ed escludendone l'applicazione per il passato ( Corte di appello di Ancona, sentenza del 3 marzo 2011), altri considerando la norma di interpretazione autentica, con conseguente necessità di fare decorrere la prescrizione decennale dalla data delle singole annotazioni in conto ( Tribunale di Milano, ordinanze del 4 e 7 aprile 2011).
In particolare, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la mancanza di una chiara opzione interpretativa sarebbe particolarmente evidente con riguardo alla seconda parte della disposizione censurata, concernente il divieto di azioni restitutorie, in quanto il Tribunale, sia pure ipotizzando una lettura in chiave di clausola di salvaguardia della posizione giuridica di chi abbia già ricevuto il rimborso cui la prescrizione non può essere più eccepita, opterebbe per una diversa interpretazione a sfavore del cliente, nel senso di una preclusione assoluta all'esercizio del diritto di ripetizione dell'indebito, omettendo di verificare se il divieto di cui trattasi possa essere riferito solo ai diritti che si debbano ritenere prescritti in base alla prospettata interpretazione autentica dell'art. 2935 cod. civ.
3.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene, altresì, nel merito la questione non fondata.
Al riguardo - dopo avere richiamato le disposizioni del codice civile in tema di contratto di conto corrente ordinario di cui agli artt. 1823 (in base al quale i crediti derivanti dalle reciproche rimesse sono inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto), 1827 (secondo cui le annotazioni in conto non precludono l'esercizio delle azioni ed eccezioni relative all'atto da cui deriva il credito), 1832 (secondo cui l'estratto conto si intende approvato se non è contestato nel termine pattuito, o in quello usuale, o altrimenti nel termine che può ritenersi congruo secondo le circostanze, fatto salvo il diritto di impugnare il conto entro il più ampio termine decadenziale di sei mesi dalla ricezione dell'estratto, nel caso di errori di scritturazione o di calcolo, di omissioni o duplicazioni) - la difesa erariale sottolinea come, secondo consolidata giurisprudenza, l'approvazione e l'incontestabilità dell'estratto conto si riferiscano soltanto a profili di ordine contabile, fermo restando il diritto di accertare la nullità, annullabilità, rescissione, risoluzione delle singole clausole contrattuali o degli atti da cui siano derivate le specifiche annotazioni in conto.
In base ad un diffuso orientamento giurisprudenziale, le norme in tema di contratto di conto corrente ordinario sarebbero applicabili allo specifico contratto di conto corrente bancario, di cui agli artt. 1852 e seguenti cod. civ., per i quali, anche per questa fattispecie contrattuale, varrebbe la regola secondo cui, in caso di mancata contestazione entro il termine decadenziale, le annotazioni in conto si intendono approvate sotto il profilo contabile, fermo restando il diritto di contestare, secondo la disciplina propria dei singoli rapporti, la legittimità delle ragioni da cui derivano le reciproche posizioni debitorie e creditorie.
Sul punto, ad avviso di una gran parte della giurisprudenza, in caso di annotazioni derivanti da clausole negoziali nulle, troverebbero applicazione i principi di cui all'art. 1422 cod. civ., secondo il quale l'azione di nullità può essere esercitata in ogni tempo, fatti salvi gli effetti della prescrizione dell'azione di ripetizione, con la conseguenza che solo dalla chiusura del conto, momento in cui diventano esigibili i crediti derivanti dal rapporto e si realizzano le operazioni di pagamento, inizierebbe a decorrere il termine di prescrizione per la ripetizione di quanto indebitamente versato per effetto delle clausole nulle (questo indirizzo giurisprudenziale sarebbe stato sostanzialmente avallato dalla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 24418 del 2 dicembre 2010, che ha individuato un termine anteriore costituito dal momento del singolo versamento con riferimento alla sola ipotesi in cui il cliente provveda a coprire un passivo eccedente i limiti del proprio accreditamento).
La difesa erariale sottolinea come una diversa giurisprudenza minoritaria non condivida l'estensione generalizzata al conto corrente bancario della stessa disciplina prevista per il conto corrente ordinario in quanto: a) nel contratto di conto corrente ordinario la regola della decorrenza della prescrizione delle reciproche pretese dal momento della chiusura del conto troverebbe razionale giustificazione nella breve durata del rapporto (ai sensi dell'art. 1831 cod. civ. ordinariamente pari ad un semestre), mentre la disciplina codicistica del contratto di conto corrente bancario non prevedrebbe alcun termine di durata, prolungandosi quest'ultimo per un indeterminato periodo di tempo, con la conseguenza che la chiusura del conto e l'esercizio delle azioni derivanti dalle annotazioni da clausole o atti viziati rischierebbero di essere differiti per tempi estremamente lunghi, con pregiudizio delle esigenze di certezza e stabilità dei rapporti giuridici; b) sotto un profilo strettamente ermeneutico, l'art.1857 cod. civ. si limiterebbe a dichiarare applicabile al conto corrente bancario le sole disposizioni di cui agli artt. 1826, 1829, 1832 cod. civ., con la conseguenza che - atteso il mancato richiamo degli artt. 1823 e 1827 cod. civ. - non risulterebbe certa l'estensione della regola secondo cui l'approvazione dell'estratto conto redatto periodicamente si riferisce ai soli aspetti contabili del rapporto, lasciando impregiudicata la possibilità di contestare la legittimità sostanziale delle singole annotazioni.
Il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia come il censurato art. 2, comma 61, si sia inserito in questo complesso scenario normativo e giurisprudenziale, attraverso una ragionevole soluzione interpretativa.
Con riferimento alla prima parte della citata disposizione, escluso che il legislatore abbia assunto l'annotazione come termine per l'esercizio dell'azione di ripetizione - essendo pacifico che tale azione è esperibile solo per effetto di un pagamento indebito - o che l'annotazione sia la fonte costitutiva del credito riportato nel conto, secondo una possibile interpretazione la norma si inserirebbe nel solco della disposizione dell'art. 1832 cod. civ. completandone la disciplina con specifico riferimento ai contratti di conto corrente bancario. In questa prospettiva, il legislatore si sarebbe limitato ad aggiungere al termine decadenziale previsto dall'art. 1832 cod. civ. un ulteriore termine prescrizionale per l'esercizio dell'azione diretta a contestare, sempre ed esclusivamente sul piano contabile, l'esattezza delle annotazioni eseguite. Ma tale interpretazione, ad avviso della difesa statale, sarebbe poco convincente perché la norma sarebbe sostanzialmente priva di efficacia, non avendo senso affermare che sia prescritta l'azione dalla quale si sia già decaduti.
Più convincente sarebbe la tesi secondo cui il legislatore, nel riferirsi ai «diritti nascenti dalle annotazioni», abbia inteso richiamare il diritto di contestare giudizialmente non solo i profili contabili, ma anche le ragioni sostanziali dalle quali è derivata l'annotazione in conto e, perciò, il diritto di accertare la mancanza di un valido titolo giustificativo della posta creditoria, annotata in quanto derivante da una clausola negoziale o da un atto invalido (ad esempio, applicazione di interessi ultra-legali; indebita capitalizzazione di interessi, fonte di interessi anatocistici)
In particolare, il legislatore avrebbe voluto affermare che sono soggette a prescrizione non solo le azioni di ripetizione di quanto eventualmente pagato in base ad una clausola nulla, ai sensi dell'art. 1422 cod. civ., ma anche le azioni di accertamento della illegittimità delle annotazioni eseguite in base alle predette clausole. In tal modo, si sarebbe chiarito che, nel contratto di conto corrente bancario, le annotazioni hanno la funzione di rendere definitivi, se non contestati entro un termine prescrizionale ordinario, i crediti ed i debiti annotati nel conto sia pure in base ad una disposizione contrattuale viziata.
Pertanto, ad avviso della difesa erariale, nell'ottica di un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata, si potrebbe ritenere che con essa il legislatore abbia voluto precisare la portata dell'art. 2935 cod. civ., individuando nella annotazione, cui le parti hanno inteso dare una particolare valenza in base al sinallagma contrattuale, il momento di decorrenza della prescrizione del diritto nascente da quella operazione.
Quanto alla seconda parte del censurato art. 2, comma 61, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che debba essere letta ed interpretata in correlazione con la prima parte di essa, di cui costituisce corollario. In particolare, con detta disposizione, il legislatore non avrebbe inteso precludere qualsiasi azione restitutoria derivante dal contratto di conto corrente bancario, bensì chiarire che non è possibile proporre azioni di ripetizione di indebito qualora risulti ormai prescritta l'azione per fare valere l'illegittimità delle annotazioni in conto.
La difesa erariale ricorda come la Corte costituzionale abbia più volte affermato che il legislatore può adottare norme che precisano il significato di altre disposizioni legislative non solo quando sussista una situazione di incertezza nell'applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo giurisprudenziale, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore (sentenze n. 209 del 2010; n. 311 del 1995; n. 397 del 1994; n. 480 del 1992).
Con riferimento alla portata retroattiva della norma interpretativa, sono stati, inoltre, individuati una serie di limiti che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali, tra cui i principi di ragionevolezza, uguaglianza, quello dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento giuridico e del rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario (sentenze n. 525 del 2000 e n. 397 del 1994).
Nella fattispecie, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che, pur dovendosi riconoscere la prevalenza dell'opzione interpretativa favorevole alla tesi della cosiddetta unitarietà del rapporto di conto corrente, sia pure con taluni distinguo nell'ambito della stessa (versamenti ripristinatori e solutori), non può escludersi la possibilità di altre diverse soluzioni ermeneutiche, sostenute dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che, operando una valutazione del contratto di conto corrente in termini sostanzialmente autonomi rispetto ai collegati contratti di apprestamento della provvista, valorizzano la facoltà del correntista di disporre in qualunque momento del relativo saldo o di richiedere un estratto conto. In questa ottica, si configurerebbe la possibilità di accertare l'indebita apposizione di interessi, competenze e spese e di richiederne la restituzione, con conseguente decorrenza del termine prescrizionale dal momento in cui la banca ha provveduto all'annotazione della posta in contestazione, in quanto ciascuna di queste somme costituirebbe autonomamente un indebito, oggetto di specifica domanda di restituzione ( Corte d'appello di Torino, sentenza del 7 maggio 2004, n. 741; Tribunale di Mantova, sentenza del 2 febbraio 2009; Tribunale di Roma, sentenze del 26 maggio 1999, del 14 aprile 1999 e del 20 settembre 1996, con riferimento all'ipotesi di libretti di deposito bancario, Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza del 3 maggio 1999, n. 4389).
Infine, ad avviso della difesa erariale, non avrebbe pregio l'osservazione del Tribunale secondo cui l'annotazione è circostanza di fatto che esula dalla sfera conoscitiva del cliente, il quale sarebbe edotto delle movimentazioni del proprio conto con la ricezione dell'estratto conto, in quanto rilevante ai fini della prescrizione non sarebbe tanto il concreto esercizio del diritto ma l'astratta possibilità di esercitarlo (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza del 22 aprile 2010, n. 9620). Ai sensi dell'art. 1852 cod. civ., il cliente avrebbe certamente la possibilità di disporre del saldo in qualunque momento, dato che, ancora prima della scadenza del termine per l'invio dell'estratto, potrebbe avere certezza della esistenza sul conto delle somme di cui intende disporre nonché delle annotazioni in esso contenute.
La norma in questione, limitandosi ad esplicitare regole già desumibili dal sistema, non lederebbe né l'effettività del diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, di cui all'art. 24 Cost., né l'integrità delle attribuzioni costituzionali dell'autorità giudiziaria, di cui all'art. 102 Cost., né tantomeno l'art. 117 Cost., in relazione all' art. 6 CEDU.
4.- In data 13 gennaio 2012, la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. in persona del legale rappresentante pro-tempore ha depositato atto di costituzione di nuovo di nuovo difensore, in aggiunta a quelli già costituiti.
5.- In data 17 gennaio 2012 la detta banca ha depositato memoria illustrativa, nella quale, in primo luogo, ribadisce l'inammissibilità della questione, in quanto: a) sarebbe carente la motivazione sulla rilevanza; b) sarebbe del pari carente la descrizione dei fatti di causa, perché il rimettente, in presenza di una norma come quella censurata (recante due disposizioni tra loro connesse, ma con distinto contenuto precettivo), non avrebbe tenuto conto di tale complessità normativa, articolando le sue censure in maniera indistinta rispetto ai due periodi che compongono la norma stessa. Inoltre, il giudice a quo, prendendo le mosse per le sue argomentazioni dalla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 24418 del 2010, non avrebbe considerato le ragioni complessive svolte dalla Corte di legittimità, così incorrendo ancora in omessa o insufficiente motivazione sulla rilevanza; c) il rimettente si sarebbe sottratto all'onere di sperimentare la possibilità di pervenire ad una doverosa interpretazione costituzionalmente orientata, peraltro individuata anche in alcune pronunzie di Corti territoriali.
Nel merito, l'istituto di credito ribadisce e sviluppa le argomentazioni già svolte nell'atto di costituzione.
6.- In data 17 gennaio 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa, riportandosi alle conclusioni di cui alla memoria di intervento.
7.- Il Tribunale di Benevento, con ordinanza del 10 marzo 2011 (r.o. n. 166 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 41, 47, 102, Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011 (comma aggiunto da detta legge di conversione).
7.1.- Il rimettente premette che U.M. aveva convenuto in giudizio la San Paolo Banco di Napoli s.p.a. - filiale di Benevento - chiedendo la rideterminazione del saldo del conto corrente bancario n. 7073 (poi corretto in quello n. 27/90), aperto il 14-21 settembre 1992 e chiuso il 31 dicembre 2006, con condanna della banca alla restituzione dell'indebito versato, stante l'addebito, nel corso del rapporto bancario, di interessi anatocistici e commissioni di massimo scoperto non dovuti; che, costituitasi in giudizio, la banca convenuta aveva dedotto la nullità dell'atto di citazione per genericità e indeterminatezza dei fatti costitutivi posti alla base della domanda ed aveva eccepito la prescrizione decennale dell'azione di ripetizione dell'indebito, in quanto decorrente dalla data di annotazione di ogni singola posta contestata, nonché la decadenza dalla contestazione degli estratti conto, chiedendo il rigetto della domanda; che, disposta CTU per il ricalcolo del saldo con applicazione del criterio della capitalizzazione annuale degli stessi (dalla quale era emerso un saldo reale a favore dell'attore di euro 26.832,87 al 31 dicembre 2006), la causa veniva riservata in decisione; che, in considerazione dell'intervenuta sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili n. 24418 del 2010, la causa era rimessa in istruttoria, fissando l'udienza del 10 marzo 2011 per la comparizione del CTU al fine di incaricare quest'ultimo della ricostruzione del rapporto bancario alla luce dei principi giuridici affermati nella detta sentenza, con ricalcolo epurato integralmente dall'interesse anatocistico (criterio cosiddetto dell'interesse semplice); che, nelle more del giudizio, in data 27 febbraio 2011, entrava in vigore il citato art. 2, comma 61.
7.2.- In punto di rilevanza, dopo avere riportato il testo della norma censurata, il giudice a quo osserva di non potere prescindere dalla sua applicazione ai fini della decisione in ordine al se ed in quali termini conferire al CTU un incarico integrativo di ricalcolo del rapporto bancario, avendo la banca convenuta tempestivamente eccepito nella comparsa di costituzione la prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito proposta dall'attore.
Infatti, ad avviso del rimettente, se la nuova norma dovesse interpretarsi nel senso che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito decorre non già d