E' legittima l'impugnazione diretta della DIA (dichiarazione di inizio di attività) da parte di un terzo (TAR Marche 22.06.2012)


E' legittima l'impugnazione diretta della DIA (dichiarazione di inizio di attività) da parte di un terzo (TAR Marche 22.06.2012)

Pubblicata il 12/07/2012 in Diritto Amministrativo

5. Il ricorso non merita accoglimento, per le ragioni che si vanno ad esporre.

Ciò rende superfluo l’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, la quale peraltro risulta infondata all’esito della disamina della questione giuridica sottostante.

In effetti, è noto l’ampio e prolungato dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ha caratterizzato la vicenda relativa all’individuazione degli strumenti di tutela a disposizione dei terzi che intendono contestare un intervento edilizio assentito con il meccanismo della D.I.A. (dibattito che non è ovviamente opportuno ripercorrere in questa sede ). Ed è altrettanto noto che nel corso del 2011 sono intervenute due importanti novità sul tema, l’una di stampo giurisprudenziale (si allude naturalmente alla sentenza n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria), l’altra di matrice legislativa (si fa riferimento all’art. 6 del D.L. 13/8/2011, n. 138, convertito in L. 14/9/2011, n. 148, che, andando deliberatamente contro la richiamata decisione dell’Adunanza Plenaria, ha stabilito che in materia di D.I.A./s.c.i.a. l’unico rimedio esperibile è il ricorso avverso il silenzio).

Peraltro, non potendo la predetta norma essere interpretata nel senso di elidere o ridurre gli strumenti di tutela del cittadino – pena il possibile contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost. – il terzo, a prescindere dal meccanismo processuale utilizzato per introdurre la controversia, deve avere la possibilità di chiedere al giudice l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti che legittimano il ricorso alla D.I.A. Questo può avvenire o mediante il ricorso avverso il silenzio (con il quale, dal punto di vista formale, si chiede al giudice di accertare l’obbligo del Comune di provvedere sulla “denuncia” del terzo e quindi di inibire l’attività o di rimuovere ex post il titolo abilitativo formatosi sulla D.I.A.) oppure per il tramite di un’azione impugnatoria (in cui oggetto del gravame è il provvedimento tacito con cui il Comune ha ritenuto di non dover reprimere l’attività svolta in base alla D.I.A.) o, come pure consente oggi il codice del processo amministrativo, proponendo un’atipica azione di accertamento negativo.

6. Ma quale che sia lo strumento prescelto, una cosa è certa: il giudice amministrativo non può decidere con efficacia di giudicato su questioni di natura civilistica che insorgano fra il soggetto che utilizza la D.I.A. e i terzi. E nemmeno il Comune, in sede amministrativa, può essere chiamato a dirimere tali questioni.

Ciò in base al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in sede di rilascio di titoli abilitativi in materia edilizia (il discorso può ovviamente essere esteso anche ad altre materie nelle quali possono insorgere problematiche similari), il Comune è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti di legge che abilitano il richiedente a presentare la domanda di rilascio del permesso di costruire o la D.I.A. nei soli limiti dell’apparenza del diritto. Ciò è tanto vero che i titoli abilitativi edilizi contengono sempre la clausola “fatti salvi i diritti dei terzi”.

Il discorso riguarda sia le questioni relative all’aspetto proprietario (vedasi l’art. 11 del T.U. n. 380/2001, il quale contiene disposizioni che, come è noto, trovano riscontro anche in materia di procedure espropriative – artt. 16, commi 7 e 9, 25 e 34 T.U. n. 327/2001), sia le questioni – che molto spesso si pongono – derivanti dalle disposizioni che regolano il condominio degli edifici.

7. Pertanto, fatti salvi i casi in cui sia icto oculi (l’espressione va ovviamente commisurata al grado di competenza tecnico-giuridica che si deve riconoscere ai funzionari comunali competenti a curare l’istruttoria delle pratiche edilizie) verificabile l’assenza dei presupposti di legge e/o l’opposizione formale dell’assemblea condominiale all’esecuzione di lavori che interessano le parti indiscutibilmente comuni dell’edificio, l’amministrazione comunale non è tenuta, in sede di rilascio del titolo o di verifica sulla regolarità della D.I.A., a dirimere controversie fra privati.

8. Trasportando le predette considerazioni al caso di specie, è plasticamente osservabile come il ricorrente chiede in sostanza al Tribunale di decidere con efficacia di giudicato su questioni di natura prettamente civilistica, intercorrenti per di più fra soggetti privati.

Al riguardo va in primo luogo osservato che non rileva il fatto che in materia di D.I.A. o s.c.i.a. al giudice amministrativo è attribuita una giurisdizione esclusiva, e ciò per due ordini di ragioni:

- in primo luogo, perché in questo caso la scelta del legislatore discende soprattutto dall’incertezza sulla natura della D.I.A. che, fin dall’entrata in vigore della L. n. 241/1990, ha sempre accompagnato l’istituto. Al fine di evitare che la qualificazione della D.I.A. come atto privato potesse implicare un mutamento della giurisdizione, è stato previsto che in materia di D.I.A. il G.A. dispone di giurisdizione esclusiva;

- in secondo luogo, perché, anche a voler estendere l’ambito di cognizione del G.A. alle questioni afferenti diritti soggettivi, tali questioni debbono pur sempre coinvolgere la pubblica amministrazione (il diritto, cioè, deve essere controverso fra il ricorrente e la P.A. resistente). Qualsiasi altra interpretazione confliggerebbe con il principio di diritto affermato dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 204 del 2004, in quanto il G.A. sarebbe chiamato a dirimere controversie afferenti diritti soggettivi in un ambito in cui non è per nulla presente il potere pubblicistico della P.A. (anzi, per meglio dire, la P.A. non è proprio presente).

9. Si deve infatti ribadire che nel caso di specie la controversia relativa a diritti soggettivi riguarda due soggetti privati e che il ricorrente e il controinteressato dibattono sulla qualificazione giuridica di una porzione dell’edificio condominiale (se cioè si tratti di tetto o lastrico solare), sulla corretta interpretazione di contratti di compravendita stipulati fra l’impresa che ha costruito l’edificio e gli acquirenti di alcune unità immobiliari e, infine, sul contenuto di alcune delibere dell’assemblea condominiale.

Di fronte a tali questioni sia il Comune di Civitanova Marche che il TAR debbono arrestarsi, essendo la soluzione di tali controversie appannaggio esclusivo del competente Tribunale ordinario.

10. Dal punto di vista processuale, in questa sede si deve invece concludere per il rigetto del ricorso (nei limiti in cui ne può conoscere il G.A.), atteso che:

- nella D.I.A. presentata in data 7/6/2010, il sig. Michetti ha dichiarato di essere proprietario dell’unità immobiliare interessata dai lavori per cui è causa;

- il certificato catastale relativo all’unità immobiliare di cui è proprietario il sig. Michetti conferma tale circostanza, nonché il fatto che sono state accatastate le parti espressamente menzionate nel contratto di compravendita a suo tempo stipulato con la ditta Murri (a questo proposito, l’affermazione di parte ricorrente secondo cui le risultanze catastali non hanno efficacia probatoria qualificata rafforza le conclusioni a cui il Tribunale ritiene di dover approdare, in quanto è evidente che costituisce preciso onere del ricorrente contestare in sede civile le suddette risultanze catastali e che tale accertamento non competeva certo al Comune di Civitanova Marche);

- il sig. Michetti ha anche allegato la dichiarazione dell’amministratore di condominio con cui si esprimeva il sostanziale avallo all’esecuzione delle opere in argomento. E al riguardo, si deve evidenziare che l’incidenza dell’eventuale dissenso di una parte dei condomini è legata alla risoluzione della questione principale, in quanto il consenso dell’assemblea non sarebbe necessario se si dovesse accertare che i lavori riguardano una porzione di esclusiva proprietà del sig. Michetti.

E poiché nel suddetto contratto di compravendita era stato espressamente precisato che la porzione di edificio oggetto dei lavori (minuziosamente descritta) era di proprietà esclusiva del sig. Michetti, l’amministrazione intimata non era tenuta a compiere ulteriori accertamenti.

Né, per quanto detto in precedenza, tale obbligo è insorto a seguito della proposizione del presente ricorso.

11. Va infine respinto anche l’ultimo motivo di ricorso, in quanto l’art. 22 del T.U. n. 380/2001 consente che siano realizzati in forza di D.I.A., fra gli altri, gli interventi di cui al precedente art. 10, let. c) (e quindi anche gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino modifiche della sagoma e del prospetto degli edifici). Parte ricorrente non ha poi provato (e per la verità nemmeno dedotto) che la legislazione regionale delle Marche abbia in parte qua ristretto il campo di applicazione dell’art. 22, comma 3.

12. In conclusione, il ricorso va respinto.

La complessità delle questioni trattate e la non manifesta infondatezza delle argomentazioni di parte ricorrente giustificano la compensazione delle spese di giudizio fra le parti costituite.