MOTIVI DELLA DECISIONE
Omesso lo svolgimento del processo, ai sensi del nuovo testo dell'art. 132, comma 2 nr. 4 c.p.c. introdotto dall'art. 45, comma 17 legge nr. 69 del 2009 (entrata in vigore il 04.07.2009), ed applicabile ai processi pendenti in forza della norma transitoria di cui all'art. 58, comma 2 legge cit., appare comunque opportuno ripercorrere, per via di estrema sintesi, le domande proposte, a causa delle molte contestazioni sollevate dalle parti e alle imprecisioni tecniche in cui sono incorse.
L'attrice ha svolto domanda di risarcimento del danno da illecito extracontrattuale (art. 2043 c.c.) contro il M., assumendo di essere stata investita dal medesimo mentre entrambi praticavano lo sci in quel di Folgaria.
Il M. non nega l'accaduto ma assume che stava partecipando ad una lezione collettiva di sci, diretta dal L. e che ha urtato l'attrice quando aveva già perduto il controllo degli sci a causa di un precedente urto contro il maestro, causato da una sua colpa assorbente, consistita nell'essersi fermato d'improvviso, con gli allievi al seguito e nelle vicinanze di altra sciatrice. Afferma, pertanto, la propria carenza di legittimazione passiva essendo responsabile esclusivamente il Le., a norma dell'art. 2048 c.c. e la Scuola di sci, a norma dell'art. 2049 c.c. Nel caso di riconosciuto concorso di colpa col maestro chiede di essere "tenuto indenne" da costui per le somme che dovesse pagare all'attrice e corrispondenti alla colpa riconosciuta in capo al maestro. In ogni caso svolge domanda di garanzia impropria contro la Compagnia di Assicurazione in forza del contratto di assicurazione della responsabilità civile instaurato a mezzo dell'acquisto dello ski-pass.
Il Le. e la scuola di sci chiedono il rigetto della domanda, assumendo l'esclusiva responsabilità del M. e, nel caso di riconoscimento di una colpa concorrente del Le., chiedono la limitazione della condanna nei confronti dell'attrice, in conformità della corrispondente quota di responsabilità riconosciuta ovvero, in via riconvenzionale, di essere "tenuti indenni" dal M. e dal suo assicuratore r.c. auto.
La Arisa Assurances S.A. ammette il rapporto assicurativo, aderisce alla difesa del M. e, nel caso di riconoscimento di sua responsabilità anche concorrente, oppone le clausole di massimale e di franchigia.
Prima di affrontare il merito e al fine di dirimere le molte, troppe contestazioni, sollevate dalle parti negli scritti difensivi è opportuno precisare che: a) la difesa del convenuto, fondata sugli artt. 2048 e 2049 c.c., non pone una questione di legittimazione passiva, ma di merito, essendo certo che, alla stregua delle allegazioni dell'attrice, è il convenuto il legittimato passivo; b) il riconoscimento di una responsabilità ex art. 2048 c.c. in capo al Le. non esclude affatto, come invece mostra di ritenere la difesa del convenuto, una possibile corresponsabilità del M., ossia dell'allievo, posto che la norma in esame, a differenza dell'art. 2047 c.c., presuppone la capacità di intendere e di volere e quindi la responsabilità, anche del soggetto sorvegliato; c) ciò non esclude, beninteso, che il Le. possa essere riconosciuto esclusivo responsabile del danno, all'esito della ricostruzione nel merito della dinamica del sinistro, ossia nel caso in cui emerga che la perdita del controllo degli sci da parte del M. non sia a lui ascrivibile ma ad una condotta colposa del maestro; d) il fatto che il M. si sia difeso assumendo l'esclusiva responsabilità del Le. implica l'estensione automatica della domanda risarcitoria avanzata dalla B., anche al Le. e alla Scuola di sci, pur in assenza di espressa istanza, in forza della pacifica giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale in tal caso il terzo è indicato come "vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario" in via alternativa rispetto all'originario convenuto (cfr., tra tante, Cass., 28.03.2003 nr. 4740, rv. 561571); d) la domanda di essere "tenuto indenne", proposta dal convenuto, può essere qualificata tecnicamente come domanda di garanzia impropria solo nei confronti del proprio assicuratore r.c. auto, essendo fondata su un rapporto sostanziale, di natura contrattuale, distinto da quello originato dall'illecito extracontrattuale; e) ancorché il medesimo convenuto, così come anche i terzi chiamati, utilizzino la medesima espressione (essere "tenuti indenni") per le domande reciprocamente proposte, in caso di riconoscimento di un concorso di responsabilità tra loro, non si tratta di domanda di garanzia impropria ma di domanda di regresso, ai sensi dell'art. 2055, comma 2 c.c., perché si fonda sul medesimo rapporto giuridico originato dall'illecito extracontrattuale, sicché la sua proposizione, in via subordinata, non è idonea ad escludere l'estensione automatica della domanda dell'attrice di cui sopra.
Fatte queste precisazioni, nel merito, la domanda dell'attrice contro il convenuto è fondata nei limiti di seguito precisati e va, pertanto, nei medesimi limiti, accolta. Pure fondata è la domanda di manleva proposta dal M. contro il proprio assicuratore r.c., sia pure con le limitazioni, pure di seguito precisate, conseguenti alla clausola di franchigia. Infondate sono, invece, le domande proposte contro il Le. e la Scuola di sci che vanno, pertanto, respinte.
La dinamica del sinistro per cui è causa, accaduto in data 10.02.2006 sulla pista denominata "Ortesino facile" del complesso dell'altopiano di Folgaria (TN), all'esito dell'istruttoria svolta, può essere ricostruita nei termini che seguono.
Il convenuto S.M. stava partecipando ad una lezione collettiva, di livello intermedio, tenuta dal maestro F.L. della locale scuola di sci che si svolgeva, come si è soliti fare, con gli allievi che seguivano il maestro in fila indiana nell'eseguire ampie curve a scendere lungo il pendio. Il M. era il primo della fila, dopo il maestro e quando questi stava fermandosi, onde verificare la discesa degli allievi dietro di lui, il M. andò ad urtare gli sci del maestro, così perdendo il controllo dei propri sci, rovinando a terra e scivolando a valle andò ad investire l'attrice che, a sua volta, cadde a terra.
Questa dinamica del sinistro è provata non solo dal rapporto dei Carabinieri intervenuti nell'immediatezza sul posto a prestare i primi soccorsi, i quali hanno in particolare attestato che il M. proveniva "da monte", rapporto confermato dai testi N.R. e L.M., ma dalla stessa versione dei fatti resa dalle parti interessate, sia nell'immediatezza del fatto (cfr. verbale di spontanee dichiarazioni rese dal M. ai Carabinieri in data 10.02.2006) sia in sede di interrogatorio formale, versione che nella sostanza coincide.
In particolare l'attrice, il cui interpello è stato raccolto per prova delegata dal Tribunale di Siena, ha attendibilmente sostenuto di non aver visto quanto accaduto a monte ma di essere stata investita dal M., che proveniva da monte, il quale si scusò con lei dopo il fatto, oltre a prestarle i primi soccorsi. Il M. ha raccontato la dinamica del sinistro come sopra descritto, aggiungendo che: il maestro stava per fermarsi e non sa dire se era ancora in movimento o già fermo; aveva iniziato il corso da 5 giorni; ha iniziato a sciare da bambino e poi ha ripreso con le figlie; alla fine del corso gli fu rilasciato l'attestato "3 stelle d'argento"; non ricorda se si è scusato con l'infortunata, alla quale comunque ha prestato soccorso. Il L. ha aggiunto che: il M. partecipava al corso "2 stella d'argento" tanto che al termine gli venne rilasciato l'attestato "3 stelle d'argento", ossia il livello più avanzato dell'intermedio, che contraddistingue gli sciatori che sanno eseguire le curve con sci paralleli, mentre il corso principianti ("bronzo", pure su 3 livelli) è dedicato a chi scia a "spazzaneve" ed il corso avanzato ("oro", ancora su 3 livelli) è dedicato agli sciatori esperti; in quella occasione, dopo aver eseguito alcune curve seguito dagli allievi, stava fermandosi con una curva "più sbandata", diversa dalle altre, onde poter guardare gli allievi scendere; non ha fatto in tempo neppure a fermarsi completamente che si è sentito colpire gli sci dal M.; dopo il contatto vide il M. girarsi e proseguire a valle di schiena per circa 5-6 metri, sino a colpire una sciatrice che stava sciando a spazza neve ed era quasi ferma, facendola cadere all'indietro.
Sul tipo di pista teatro del sinistro il soccorritore L.M. ha chiarito trattarsi di pista facile anche se presenta un leggero cambio di pendenza in corrispondenza del luogo del sinistro. Sul livello raggiunto dal M. dalle sue stesse dichiarazioni, concordanti con quelle del maestro, si evince che aveva una buona pratica, di livello intermedio, anche se certo non era uno sciatore esperto. Le contrarie dichiarazioni rese sul punto da P.B., ex compagna del M., tendenti a descrivere il convenuto come un principiante non possono, pertanto, ritenersi attendibili. La teste, infatti, ha precisato che il M. avrebbe iniziato a sciare solo insieme alle figlie, quando si è visto che lo stesso convenuto ha ammesso di aver iniziato a sciare da piccolo per poi solo riprendere con le figlie.
Decisivo per attribuire l'integrale responsabilità al M. è la circostanza provata che fosse lui a provenire da monte ed avesse, pertanto, l'obbligo di scegliere la traiettoria in modo da evitare interferenze con le traiettorie seguite dallo sciatore a valle, nella specie il maestro di sci, come imposto dalla regole n. 3 del c.d. decalogo dello sciatore che, come è noto, costituisce il compendio delle norme di comune prudenza che devono essere seguite nella pratica sciatoria e che sono ora state tipizzate dal legislatore nel Capo III della legge 24.12.2003, nr. 363 (cfr., in particolare l'art. 10 che, sotto l'intitolazione Precedenza, dispone "lo sciatore a monte deve mantenere una direzione che gli consenta di evitare collisioni o interferenze con lo sciatore a valle"), oltre che dalla normativa locale (cfr. art. 30-ter, comma 1 lett. b nr. 1 decreto del Presidente della Provincia Autonoma di Trento 2 dicembre 2004 nr. 18 "Modifiche al decreto del presidente della Giunta provinciale 22.09.1987 n. 11-51/legisl. Emanazione del regolamento per l'esecuzione della legge provinciale 21 aprile 1987, n. 7 concernente Disciplina delle linee funiviarie in servizio pubblico e delle piste da sci, in G.U. 12.03.2005, nr. 10 3° serie speciale Regioni).
La regola sopra indicata costituisce la norma di comportamento per gli sciatori più importante da seguire ed il fatto che, per stessa ammissione resa in sede di interrogatorio formale, il M. l'abbia violata rende evidente ed incontestabile la sua colpa, in riferimento al primo urto col maestro di sci, alla successiva perdita di controllo dei propri sci e, infine, all'urto con l'attrice, che stava, del tutto incolpevolmente sciando a valle, eventi tutti concatenati dal medesimo nesso di causalità alla cui origine è la manovra errata, negligente ed imprudente del M..
Sostenere, come fa il suo difensore, che il fatto che il M. provenisse da monte non risulta dall'interrogatorio formale né da qualsiasi altra prova (cfr. memoria conclusionale di replica, pg. 3) significa negare l'evidenza dei fatti. Da un lato, il rapporto dei Carabinieri riporta, nella ricostruzione della dinamica del sinistro, espressamente la circostanza e, dall'altro, deve ritenersi ammessa dallo stesso M., laddove afferma di aver urtato il maestro che lo procedeva (evidentemente a valle rispetto alla sua posizione), di aver perso il controllo degli sci ed urtato l'attrice mentre scivolava sul terreno, a meno di non voler sostenere che uno sciatore che cade a terra scivola da valle verso monte e non, come impone la forza di gravità, viceversa.
D'altra parte il rimprovero mosso dal M. al maestro, di essersi fermato improvvisamente nelle adiacenze di un'altra sciatrice, risulta destituito di qualsiasi fondamento e non solo sfornito di alcun supporto probatorio. E' del tutto normale che un maestro di sci, dopo alcune curve eseguite con gli allievi che lo seguono "a fila indiana" si fermi onde osservare gli allievi eseguire le proprie evoluzione e, eventualmente, correggerli. Del tutto normale ed anzi imposto dalle norme di comune prudenza è che gli allievi, che seguono da monte, non solo osservino scrupolosamente la norma di condotta sopra indicata, ma mantengano anche una distanza adeguata da chi li precede, ben sapendo che primo o poi ci si dovrà fermare gli uni accanto agli altri in condizioni di tutta sicurezza. Del tutto normale, infine, è che il maestro si fermi in corrispondenza del cambio di pendenza presentato dalla pista, essendo proprio questo il punto più indicato per interrompere e poi proseguire l'attività. Specioso appare il rimprovero mosso al maestro di essersi fermato nelle vicinanze di un'altra sciatrice, perché, da un lato è certo che nella specie non si fermato vicinissimo all'attrice, dal momento che il M. l'ha colpita solo dopo essere scivolato a valle per qualche metro e, dall'altro, le abituali condizioni di frequentazioni delle piste di sci non consentono di comportarsi diversamente.
Considerando che il M. non era affatto uno sciatore principiante, sia pure neppure esperto, aveva già partecipato a ben 5 giorni del medesimo corso, con le medesime modalità, la pista era facile e del tutto corrispondente alle sue capacità, si deve concludere che la perdita di controllo dei propri sci sia ascrivibile ad una sua esclusiva colpa, perché un allievo del suo livello deve essere in grado di fermarsi accanto al proprio maestro in condizioni di tutta sicurezza. Fin troppo ovvio il rilievo, ben messo in luce dalla difesa dell'attrice (cfr. memorie conclusionali), che il M. non può invocare la propria condotta incolpevole solo perché, nel momento in cui ha urtato l'attrice stesse scivolando a terra senza poter eseguire alcuna manovra di deviazione, perché, come si è visto, è la sua originaria caduta, per l'urto con gli sci del maestro, ad essergli ascrivibile a titolo di colpa.
Le conclusioni che precedono non sono messe in crisi dalla presunzione prevista in caso di scontro tra sciatori dall'art. 19 legge nr. 363/2003, che recita "nel caso di scontro tra gli sciatori, si presume, fino a prova contraria, che ciascuno di essi abbia concorso ugualmente a produrre gli eventuali danni", perché la colpa esclusiva del convenuto deve ritenersi accertata con certezza.
Al riguardo, occorre anzi tutto osservare che la norma è, a rigore, applicabile ad entrambi gli scontri avvenuti nel caso di specie: il primo tra M. ed il maestro ed il secondo tra il M., mentre stava scivolando a valle, e l'attrice. Riguardo al secondo, però, la presunzione è vinta in favore dell'attrice, per la circostanza certa che la stessa si trovava a valle ed è stata travolta da tergo dal M. durante la sua "scivolata". D'altra parte, benché convenuto e terza chiamata, abbiano invocato la presunzione non sono stati in grado neppure di allegare alcuna condotta colpevole rimproverabile all'attrice nel condurre nell'occasione i propri sci.
Accertato che a carico della danneggiata non è prospettabile alcun concorso colposo, neppure alla stregua della presunzione legale sopra indicata, si deve affermare il suo diritto al risarcimento integrale del danno, non essendo applicabile nella specie l'art. 1227, comma 1 c.c. Ma l'applicazione della presunzione di pari responsabilità prevista dal cit. art. 19 riguardo al primo scontro porterebbe ad una condanna solidale del maestro di sci (oltre che della Scuola a norma dell'art. 2049 c.c.) e del M. in favore della danneggiata e all'accoglimento parziale, delle contrapposte domande di regresso, ai sensi dell'art. 2055, comma 2 c.c. Non vi è, infatti, dubbio che a seguito di uno scontro tra due sciatori i danni da ripartirsi a metà, a norma dell'art. 19 cit., sono non solo quelli verificatesi direttamente dallo scontro ma anche quelli prodotti a carico di altri incolpevoli sciatori terzi, attinti dai primi in fase di caduta.
Fatta questa precisazione, anche a favore del Le., deve ritenersi vinta la presunzione di pari responsabilità, benché in tal caso un rimprovero di una condotta colpevole - l'essersi fermato d'improvviso in adiacenza di un'altra sciatrice - sia stato prospettato. A tal fine assumono rilievo decisivo le seguenti circostanze: a) l'indiscutibile colpa del M. per violazione dell'art. 10 legge cit., tanto più pregnante in quanto l'allievo ben sapeva che il maestro si sarebbe fermato dopo alcune curve, tanto da obbligarlo di mantenere una congrua distanza di sicurezza; b) il fatto che il M., a differenza del suo difensore, sia nell'immediatezza del fatto sia in sede di interrogatorio formale non ha mai affermato alcuna circostanza che possa anche solo far pensare ad una colpa del maestro, limitandosi ad affermare di aver colpito i suoi sci (cfr. verbale di SIT 10.02.2006 "ad un certo punto ho urtato sull'attacco del mio insegnante che mi faceva cadere sulla neve"); c) l'assoluta inverosimiglianza della tesi che un maestro di sci, che guida una fila di allievi possa fermarsi con modalità tali da poter mettere in difficoltà gli allievi che lo seguono; d) l'assoluta carenza di qualsiasi elemento probatorio di riscontro.
La conclusione che precede merita una precisazione sulla portata della presunzione legale di pari responsabilità in parola, perché l'assonanza letterale con l'art. 2054, comma 2 c.c., in tema di scontri tra i veicoli, potrebbe far superficialmente propendere per l'applicazione dei medesimi esiti interpretativi. In particolare potrebbe ritenersi applicabile quella condivisibile giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale "nel caso di scontro tra veicoli, l'accertamento in concreto di responsabilità di uno dei conducenti non comporta il superamento della presunzione di colpa concorrente sancito dall'art. 2054 c.c., essendo a tal fine necessario accertare in pari tempo che l'altro conducente si sia pienamente uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle di comune prudenza ed abbia fatto tutto il possibile per evitare l'incidente" (Cass., 05.05.2000, n. 5671, rv.536186; cfr. anche da ultimo Cass., 16.05.2008, nr. 12444 rv. 603321; Cass., 17.12.2007, nr. 26523 rv. 600856 e Cass., 09.01.2007,. nr. 195 rv. 594183). Insomma, per superare la presunzione occorre provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ossia di aver mantenuto una condotta di guida irreprensibile, mentre la sola colpa del conducente del veicolo antagonista è insufficiente.
Sennonché la trasposizione di una soluzione di questo tipo negli scontri tra sciatori mostra tutta la sua opinabilità, per non dire infondatezza, solo ove si consideri la netta distinzione di contesti normativi di riferimento. Non può sfuggire, infatti, che mentre il conducente del veicolo è sottoposto da un criterio di responsabilità aggravato, espresso dalla formula "se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno" (cfr. art. 2054, comma 1 c.c.), lo sciatore è, al contrario, sottoposto all'ordinario criterio di responsabilità di cui all'art. 2043 c.c. Nel caso di scontro tra veicoli è proprio il collegamento sistematico tra primo e secondo comma dell'art. 2054 c.c. a giustificare e rendere condivisibile l'interpretazione sopra proposta, la quale pertanto non è per nulla estensibile allo scontro tra sciatori.
Ne deriva, in conclusione, che per superare la presunzione di pari responsabilità prevista in caso di scontro tra sciatori occorre meno di quanto non sia previsto dall'analoga presunzione prevista in caso di scontro di veicoli e, in particolare, può assumere rilievo dirimente anche il solo accertamento di una colpa particolarmente pregnante di uno dei due sciatori, pur in mancanza di elementi istruttori precisi sulla condotta posta in essere dall'altro. Nella specie l'accertata violazione di una norma di comportamento cruciale, quale quella prevista dall'art. 10 legge nr. 363 del 2003, da parte del M., consente di ritenere vinta la presunzione a carico del Le., in assenza di elementi probatori a sostegno di una sua condotta parimenti colposa.
Si deve pertanto concludere che unico responsabile per i danni subiti dall'infortunio sciistico di cui è processo sia il M..
Venendo alla liquidazione dei danni subiti dall'attrice, può essere richiamato l'ormai consolidato orientamento di questo Tribunale a seguito del noto intervento in materia delle Sezioni Unite della Cassazione, con le quattro sentenze gemelle del 28 novembre 2008 (dal nr. 26972 al nr. 26975), in base al quale: "a) le tabelle normalmente in uso per la liquidazione del danno biologico hanno ad oggetto non la lesione del diritto alla salute in sé e per sé considerata, come si affermava in passato, ma le conseguenze pregiudizievoli che, nella normalità dei casi, si promanano dalla lesione all'integrità psico-fisica sul piano esistenziale, ossia sul piano delle attività realizzatrici e relazionali, nessuna esclusa; b) ciò esclude che possa essere aggiunta una somma ulteriore a titolo di "danno esistenziale", avendo questo ad oggetto le medesime conseguenze pregiudizievoli, mentre è possibile ottenere un adeguamento ove si alleghi e si dimostri che, nel caso concreto, quella lesione ha provocato nella vita del danneggiato conseguenze pregiudizievoli superiori alla normalità dei casi; c) dai valori tabellari restano, invece, escluse le sofferenze fisiche e psichiche, in passato ricondotte alla categoria del danno morale, la cui sussistenza, da allegare e provare nel caso concreto, anche a mezzo di semplici presunzioni, impone l'adeguamento del valore tabellare in relazione alla loro effettiva pregnanza, senza alcun automatismo ma neppure alcun limite precostituito..." (cfr. Trib. Rovereto, 30.06.2009 Holfeld/Masiero/Chemini/Fondiaria-Sai/UCI, alla quale si rimanda per l'analitica motivazione dei singoli punti; cfr. analogamente Trib. Rovereto 20.02.2009, pubblicata in de Jure con la seguente massima "il principio dell'integrale risarcimento impone la considerazione di tutte le conseguenze pregiudizievole e, pertanto, sul versante non patrimoniale, non solo la sofferenza interna, in passato ricondotta al danno morale, ma anche le ripercussioni sull'esistenza delle persone, con riguardo a non poter più fare, ricondotte, in passato, alle categorie del danno biologico o del danno esistenziale, a seconda del tipo di interesse leso")
Il CTU con indagine immune da vizi logici e di motivazione e del tutto congruente con la copiosa documentazione clinica in atti (cfr. doc.ti 1-16 attrice) e che merita, pertanto, di essere in questa sede interamente condivisa, ha attestato che l'attrice, in conseguenza del sinistro per cui ha causa, ha riportato "trauma distorsivo al ginocchio destro... frattura apparentemente da impatto, del piatto tibiale esterno e delle epifisi peroneale", attualmente lamenta "impossibilità ad inginocchiarsi, difficoltà nell'accosciarsi, nel camminare in discesa, nello scendere le scale, accusa dolore alle ginocchia se sta in piedi a lungo o se deambula a lungo", riconoscendo un'invalidità permanente del 10%, un'inabilità temporanea assoluta di 60 giorni, parziale al 50% di ulteriori 50 e parziale al 25% di ulteriori 20 giorni.
Venendo alla concreta liquidazione, viene anzitutto in considerazione il danno biologico per la lesione alla propria integrità psico-fisica. In applicazione della tabella del triveneto, in uso presso questo Tribunale, nella versione aggiornata al 31.12.2005 vigente al momento del fatto, l'invalidità permanente può essere liquidata nella somma di euro 16.599,80 (= euro 1.659,98, pari al valore del punto di invalidità per la fascia di età della danneggiata, che all'epoca del sinistro aveva 59 anni e per la gravità dell'invalidità x 10).
Riguardo all'inabilità temporanea, si deve ritenere che la liquidazione prevista dalle tabelle del triveneto (= euro 36,21 al giorno) non appaia adeguata alla gravità dell'inabilità temporanea propria del caso di specie. Non si può negare, infatti, che sia in relazione al protrarsi della malattia per un arco temporale decisamente importante, sia della gravità per così dire "contenutistica" dell'inabilità stessa chiaramente emergente dalla CTU e della documentazione clinica in atti, appare nella specie opportuna l'adozione di parametri di quantificazione del danno decisamente più consistenti. Del resto l'attuale inadeguatezza della tabella del triveneto ai fini del risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea, è resa palese dalla considerazione che persino il criterio legale applicabile per le c.d. micropermanenti (cfr. art. 139 cod. ass.) garantisce ora una risarcimento maggiore.
Al fine di adeguare al caso il risarcimento del danno appare equo concedere euro 60,00 al giorno e, pertanto, complessivi euro 5.700,00 (euro 3.600,00 per la totale - 60 x 60, euro 1.500,00 per la parziale al 50% - 50 x 60 x 55%, euro 300,00 per la parziale al 25% - 20 x 60 x25%).
Il danno biologico da inabilità temporanea e da invalidità permanente è, pertanto, pari ad euro 22.299,80 (= 16.599,80 + 5.700,00).
Alla luce dei criteri sopra esposti nulla va riconosciuto a titolo di danno c.d. esistenziale, perché i relativi pregiudizi sono già stati interamente risarciti a titolo di danno biologico. Nulla, però, può essere concesso neppure a titolo di adeguamento del danno biologico, perché l'attrice non ha allegato, non ha provato, né ha chiesto di provare che le lesioni riportate hanno per lei comportato un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali maggiori rispetto alla normalità dei casi per lesioni di quel tipo.
Va, invece, concesso un adeguamento per le sicure e protratte nel tempo, sofferenze fisiche e morali, che la difesa dell'attore ha allegato e che è possibile ritenere accertate anche sulla base di presunzioni semplici fondate sulla storia clinica, emergente dalla documentazione clinica prodotta. E' un dato, infatti, di comune esperienza, che lesioni del tipo di quelle subite dall'attrice, con una lunga riabilitazione contrassegnata da forti limitazioni alla deambulazione, con necessità di uso anche di una carrozzina, comportano senz'altro una sofferenza, sia fisica che morale.
Alla stregua di una valutazione equitativa ed in considerazione della gravità della sofferenza patita, sia in termini di intensità che di protrazione temporale, ritiene questo Giudice giusto adeguare il danno non patrimoniale conseguente alla lesione del diritto alla salute della B. e comprensivo sia dei pregiudizi per così dire "esistenziali" che di quelli interni o morali, sino alla somma complessiva di euro 28.000,00.
Sul versante patrimoniale l'attrice ha fornito prova di aver sostenuto spese per cure mediche, giudicate congrue e pertinenti dal CTU, per euro 2.482,74 (cfr. doc.ti 18-27, 29, 31-38; i doc.ti 28 e 30 attengono a spese di trasporto con taxi e, pertanto, non vi rientrano), nonché euro 4.116,14 per spese di assistenza ricevuta durante la fase acuta della malattia (cfr. doc.ti 39-49, comprensivi di pagamenti contributi INPS, quietanze di pagamento delle retribuzioni, nonché testimonianza, assunta per delega dal Tribunale di Siena, resa da E.H., che ha in tutto confermato le allegazioni attoree).
Infine, vano riconosciuti anche euro 500,00 per il mancato godimento dei giorni residui di vacanze invernali e per spese di trasporto, all'esito di una valutazione necessariamente equitativa.
Il danno complessivo ammonta, pertanto, ad euro 35.098,88 (28.000,00 + 2.482,74 + 4.116,14 + 500,00).
Le sopra indicata liquidazione è state eseguite con valori aggiornati al momento del sinistro. A titolo di rivalutazione monetaria ed interessi per il ritardato pagamento, sulla base dei criteri suggeriti dalla nota sentenza a Sezioni Unite nr. 1712/95 ed in base ad una valutazione equitativa, fondata sull'andamento nel periodo in considerazione degli interessi legali, da un lato, e della svalutazione monetaria, dall'altro, appare equo riconoscere un 5% in ragione annua dall'illecito, ossia il 10.02.2006, al saldo effettivo.
Il convenuto M. va pertanto condannato a pagare in favore dell'attrice la somma di euro 35.098,88 oltre al 5% annuo dal 10.02.2006 al saldo effettivo.
Va pure accolta la domanda di garanzia impropria proposta dal convenuto contro il proprio assicuratore r.c.
E', infatti, pacifico oltre che documentalmente provato (cfr. doc. 2 terza chiamata) che a seguito dell'acquisto dello ski-pass, il convenuto ha anche acquistato la polizza r.c. per ogni danno causato a persone terze. Pure provato documentalmente e, comunque, non contestato dal convenuto, è che l'art.3 delle condizioni generali di polizza, prevede "uno scoperto del 10% dell'ammontare del danno, oltre il limite minimo di 500,00euro". Pertanto la condanna a carico dell'assicuratore resta limitata alla somma di euro 31.589,00, pari al 90% del danno complessivo, oltre al 5% annuo dal 10.02.2006 al saldo effettivo.
La domanda di manleva comprende, poi, anche le spese cui il convenuto soccombente sarà condannato a rimborsare al danneggiato vittorioso le quali integrando un'autonoma voce di danno, vanno indennizzate nei limiti del massimale rientrando nell'obbligazione indennitaria a carico dell'assicuratore, sempre col limite di franchigia sopra indicato.
Infine l'assicuratore è tenuto anche alla rifusione delle spese c.d. di resistenza, ossia le proprie spese processuali che il convenuto ha incontrato per resistere alla domanda del danneggiato (cfr. art. 1917, comma 3 c.c.), le quali, non costituiscono a rigore vere e proprie "spese giudiziali", bensì l'oggetto di un'obbligazione indennitaria a carico dell'assicuratore, per molti versi assimilabile a quella relativa alle c.d. spese di salvataggio prevista dall'art. 1914, comma 2 c.c., autonoma rispetto all'obbligazione principale di cui all'art. 1917, comma 1 c.c. (cfr. per la distinzione tra le due categorie di spese cfr. Cass., 26 giugno 1998, n. 6340, in Foro it., 1999, 2334 in Giust. civ., 1999, I, 831; Cass., 22 dicembre 1995, n. 13088; Cass., 14 ottobre 1993, n. 10170). Tuttavia esse, per semplicità, possono essere liquidate insieme alle spese proprie del rapporto processuale tra convenuto e assicuratore, relativo alla domanda di manleva, che seguono le regole della soccombenza.
Viceversa le spese processuali dei terzi chiamati dal convenuto (il Le. e la Scuola di sci), questi dovrà sopportarle in proprio, essendo conseguenti ad un proprio comportamento processuale e da una propria domanda risultata totalmente infondata.
In conformità della richiesta del convenuto e a norma dell'art. 1917, comma 2 seconda ipotesi c.c., l'assicuratore va condannato al pagamento diretto, nei limiti sopra indicati, in favore della danneggiata.
Alla soccombenza segue, come per legge, l'obbligo alla rifusione delle spese processuali, sicché: 1) il M. va condannato alla rifusione delle spese processuali in favore della B. e dei terzi chiamati, liquidate come da dispositivo, tenendo in considerazione l'attività difensiva effettivamente necessaria ai fini del decidere (con esclusione di attività inutile, quali memorie meramente ripetitive di argomentazioni già sviluppate); 2) la Arisa Assurances S.A. va condannata alla rifusione in favore del M. delle spese processuali relative alla domanda di garanzia impropria dal primo proposta, unitamente alle spese c.d. di resistenza, liquidate come da dispositivo, in via equitativa, in assenza di nota spese depositate.